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La mia vita con George. Ricordo di una gazza, di Frieda Hughes

 Quando vengo presentata, il mio nome è troppo spesso FRIEDA HUGHES-FIGLIA-DI-TEDHUGHES-E-SYLVIAPLATH. È una frase lunga da pronunciare ma in qualche modo le persone riescono a tirarla fuori tutta d'un fiato. Nel momento in cui queste informazioni vengono fornite a titolo di presentazione stroncano ogni possibile conversazione. [...] Mi chiesi perché non potesse limitarsi a dire: «Lei è Frieda Hughes». Cosa c'era di sbagliato in questo? Oppure: «Vi presento Frieda Hughes. È una pittrice e una poetessa». Dev’essere veramente frustrante essere identificata sempre come «la figlia di» cotanti genitori, come se la presenza in certi luoghi o anche la propria stessa esistenza sociale dipendesse solo da questo. Del resto, lo ammetto, anche io ho regalato questo libro al mio compagno anche e soprattutto perché lei è la figlia di Sylvia Plath. Forse l’avrei preso lo stesso, ma probabilmente con meno aspettative. Il pensiero è stato: «Come può essere che una donna che ha alle spalle così ...
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Tatà, di Valérie Perrin

Anche meno. È la prima cosa che mi è venuta da pensare chiudendo questo quarto romanzo di Valérie Perrin , Tatà . Troppa roba, troppe storie che corrono parallele, troppi ingarbugliamenti che rendono la vicenda non solo poco credibile, ma difficile da seguire, spesso inceppata.  C’è la protagonista, Agnès Septembre coniugata e divorziata Dugain, cineasta giovane e famosa, ex moglie del fascinoso attore Pierre Dugain che l’ha lasciata per un’altra, e madre di Ana ; c’è la sua  tatà (vezzeggiativo di “zia” in francese) Colette che muore, ma era già morta (!); c’è un ricercato evaso di galera di nome Levgueni   Sudkovski , vecchio circense, che vaga pericoloso e che ha collegamenti strani con Agnès; ci sono delle cassette che Colette lascia alla nipote con registrata la storia della sua vita; c’è una donna misteriosa che assomiglia tantissimo a Colette che si chiama Blanche ; c’è il padre di Agnès, Jean , fratello di Colette, pianista di eccezionale talento; c’è Lyèce , ...

Tokyo Express, di Matsumoto Seichō

Le persone tendono ad agire sulla base di idee preconcette, a passare oltre dando troppe cose per scontate. E questo è pericoloso. Matsumoto Seichō (1909-92) è considerato il “Simenon giapponese” e per una buona ragione: la scrittura elegante, asciutta, essenziale. Tokyo Express è il suo testo più celebrato e racconta di un’indagine pura, semplice, senza fronzoli, senza mille digressioni sul carattere personale dei protagonisti, senza Scientifiche, flashback di vite complicate, retroscena morbosi. Sulla spiaggia di Fukuoka, nella baia di Hokata , all’estremità occidentale del Giappone, vengono ritrovati due cadaveri: un uomo e una donna, amanti presunti suicidi. Hanno ingerito del cianuro e sono morti quasi nello stesso momento. Lei, Otoki , lavorava nel ristorante Koyuki di Tokyo; lui, Sayama , era vice-capo di sezione del Ministero X, implicato in quei giorni in un grosso caso di corruzione.  Sembra un doppio suicidio da manuale, ma qualcosa non torna. Sono arrivati da Tokyo con...

Il dio dei boschi, di Liz Moore

Se si inizia si finisce. È necessario. E se non si può, il pensiero va sempre lì, ai boschi delle Adirondack , a quell’agosto 1975, l’anno della scomparsa di Barbara Van Laar dal campo estivo di proprietà della sua famiglia, residente alla tenuta che è stata soprannominata Fiducia-in-sé-stessi , dove il padre Peter e la madre Alice ancora piangono la scomparsa del figlio Bear , avvenuta nel 1961. Un intreccio molto classico: adolescente difficile scomparsa, famiglia ricca e disfunzionale – madre depressa, padre autoritario –, sottoposti legati alla famiglia con segreti condivisi, figli di papà violenti e arroganti, ragazzine disorientate... tutto il corollario di un thriller a forti tinte dall’impianto letto e riletto. Ma... Quel ma sta nella scrittura di Liz Moore che a questo tanto celebrato (a ragione) Il dio dei boschi ha donato un ritmo straordinario, scorrevolezza, suspense e tanta intelligenza. Ogni capitolo ha come protagonista uno dei personaggi, quasi tutte donne, di cui...

A Londra non serve l’ombrello, di Francesca Sangalli

  È importante ridimensionare, ritrovare il senso delle piccole cose di questo momento, sentire come il nostro nido sicuro non sarà a prova di catastrofe ma certamente ha un calore che mi sono conquistata e guadagnata. E bisogna difenderlo, anche dall’autoboicottaggio, bisogna proteggerlo senza arrendersi. Non ho mai cercato me stessa nei libri; non mi è mai interessato, anzi; ho sempre cercato punti di vista differenti, personaggi differenti, esperienze differenti. In questo caso invece ci sono trovata a empatizzare moltissimo con  Francesca Sangalli , le sue paure e i suoi desideri, pur nelle umane differenze... e mi è piaciuto molto, mi sono sentita in qualche modo capita, come se il suo percorso potesse essere in qualche modo il mio, anche se sotto altre forme. La spinta a cambiare, spostare la prospettiva, fare cose nuove, testare i propri limiti... pur avendo il culo di piombo. Io ce l’ho bello pesante e probabilmente non andrei a vivere all’estero per tutta una serie di...

L'isola sotto il mare, di Isabel Allende

L’isola sotto il mare è la Guinea . Siamo a fine Settecento – la storia inizia nel 1770 –, durante la bruttissima epoca dello schiavismo nelle colonie, quando l'America era ancora dei nativi ma le avide e arroganti mani dell’Occidente avevano già strangolato la libertà umana.  Tarité, Tété , è nata schiava e finisce a essere di Toulouse Valmorain diventato possidente suo malgrado di una tenuta a Saint-Domingue . Personaggio controverso, perché da un lato soffre della crudeltà inflitta agli schiavi da parte del suo attendente, Prosper Cambray , dall’altro tratta Tarité come una pezza da piedi, la violenta a undici anni, dà via il figlio avuto da lei “cedendolo” all’ex amante Violette Boisier  – bellissimo personaggio, nera, prostituta, sposa di Étienne Relais , capitano dell’esercito – e anche se non la frusta mai le infligge umiliazioni profonde. Figlio del suo tempo, sicuramente, schiavo a sua volta di convenzioni e atteggianti obbligatori per il suo censo. Ma non sembra gl...

Come il vento tra i mandorli, di Michelle Cohen Corasanti

Mi arrampicai sul mandorlo: Abbas e io l’avevamo chiamato Shahida, “testimone”, perché passavamo moltissimo tempo tra i suoi rami a guardare gli arabi e gli ebrei [...] Avevamo battezzato l’ulivo a sinistra Amal, “speranza” e quello a destra era Sa’dah, “felicità”.  «Com’è possibile che l’ebrea americana Michelle Cohen Corasanti sia stata in grado di descrivere con tanta fedeltà la realtà palestinese nel Triangolo? La risposta è semplice. In quanto ebrea, a Michelle è stata concessa la possiblità di vivere all’interno dei confini stabiliti dall’armistizio del 1949 e di osservare in prima persona la vita dei palestinesi rimasti all’interno di quello che sarebbe diventato lo Stato d’Israele [...] Inoltre Michelle è arrivata sul luogo con la mente aperta e il desiderio di conoscere la verità». Questo è l’inizio della postfazione scritta da  Ahmad Abu Hussein , palestinese, collega universitario di Michelle Cohen Corasanti , amico strettissimo e compagno di esperienze, ora docent...