... i Crespi hanno dato a un sacco di persone un’esistenza dignitosa, la fiducia di un domani migliore, un posto dove crescere i figli e invecchiare serenamente circondati dalla bellezza. Una comunità di cui sentirsi parte integrante.
Non viene in mente Brunello Cucinelli e l’attività straordinaria che ha messo in piedi vicino a Perugia, con la sua filosofia di attenzione al fattore umano e culturale? A me sì, e penso che ci siano degli industriali che hanno fatto la storia del mondo del lavoro con la loro opera e la loro mentalità. Penso a Ford, a Olivetti, a Steve Jobs, ai Florio (giusto per citare un’altra famiglia letterariamente resa famosa da una saga familiare), ai Menabrea (vedi parentesi precedente). In Al di qua del fiume, Alessandra Selmi ci racconta la parabola breve ma folgorante della famiglia Crespi – in origine Tengitt, tintori, un destino scritto già nel nome –, a partire dal 1877, all’origine del sogno, fino al 1930, quando il sogno è già finito e i Crespi sono tornati “semplici cittadini”.
Gli anni della speranza, quelli della paura che sfociano nella devastante Grande Guerra, e poi il dopoguerra, la crisi economica, l’avvento del fascismo, con l’aiuto politico di Silvio Crespi a Mussolini, destinato a tradursi in una grande delusione quando il duce non aiuta i Crespi a tenere in piedi la fabbrica... Quello che Cristoforo Crespi sogna è il futuro. Una grande fabbrica cotoniera che sia il fulcro della vita dei suoi operai, a cui costruisce un villaggio di casette a misura di famiglia, fornisce la scuola per i bambini, il medico gratuito per tutti... un sogno partorito dalla mente di un grande industriale, di un grande innovatore, di un uomo che ha una vera visione... Quanto sono rare le persone così! Quanto bisogno ne avrebbe questo mondo, in cui il lavoro è stato così svilito, così affossato, quasi ridicolizzato.
Gli operai dei Crespi si toglievano il cappello al passaggio del “padrone” e non perché erano costretti a farlo, al contrario, ma perché veniva loro spontaneo, perché la loro dignità sembrava essere al centro dei pensieri di Cristoforo. Era davvero così? Nessuno lo sa, se non i più profondi recessi di Cristoforo prima e di Silvio poi, ma sicuramente la vita degli operai dei Crespi formavano una comunità con tutte le logiche e i meccanismi delle comunità nel bene e nel male. Naturalmente ogni fatto storico ha molte facce, due versioni, almeno due, quella dei due protagonisti: i padroni e gli operai. Selmi ci racconta “l’altra” versione attraverso il personaggio di Rino dell’Agazzi, che rappresenta la ribellione. Ma l’autrice si concentra chiaramente sulla versione dei Crespi attraverso le vicende di una famiglia ovviamente complessa, dei suoi segreti e delle sue fragilità, trasformando questa vicenda storica di una sorta di feuilleton che si legge in modo piacevolissimo, con punte di letteratura veramente raffinata. Il personaggio della cameriera Emilia che diventa maestra come risarcimento per un amore stroncato; quello della prostituta per scelta Elvira e del fratello “tocco” Remigio, figlia di una famiglia schiava di un padre-padrone che non può che avere poi simpatie fasciste; gli operai fedelissimi, quelli della prima ora; e l’Italia, quella che spera, quella che guarda avanti e quella schiava delle tradizioni, delle piccinerie, di una Storia matrigna. E la provincia lombarda: da quella non si scappa, quella morde e detta legge, perennemente suddita della Gran Milan. I Crespi sognavano il futuro, costruendo un villaggio che in realtà non faceva che tenere i suoi abitanti «al di qua del fiume», che naturalmente è l’Adda e che costituisce un confine enorme, quello tra casa e resto del mondo, forse addirittura l’America.
È bello questo libro, lascia addosso un po’ di malinconia per un’Italia sparita e ancorché arretrata, capace di pensarsi grande, nonostante le mille avversità. La Grande Guerra fu un massacro, un qualcosa che oggi forse non riusciamo a concepire possa fare parte di una vita – nonostante gran parte del mondo sia esattamente lì, nel pozzo dell’orrore bellico. Ma c’era un senso della dignità del lavoro e della propria vita quotidiana; in cui si produceva, si voleva produrre, era importante produrre; in cui i bambini avevano la possibilità di un futuro, magari non proprio quello che sognavano, ma un futuro, una base, su cui poter costruire qualcosa di diverso; in cui, paradossalmente, la vita era molto meno incerta di oggi... nonostante la durezza. Una mia riflessione da quasi cinquantenne. Ma al di là delle personali notazioni che si possono trovare soggettivamente, un libro per scoprire una realtà particolare che racconta la nostra storia attraverso uomini e donne che ci hanno davvero creduto.
La citazione di apertura è molto vera: Villaggio Crespi è dal 1995 Patrimonio dell’Unesco, visitato da migliaia di persone; un sito Unesco abitato, visto che le famose casette, i palasocc, sono tuttora abitate da parte dei discendenti degli operai dei Crespi che formano ancora oggi una comunità orgogliosa del proprio passato e del proprio presente. Per notizie interessanti e curiose e per visitare il villaggio, il sito è fatto molto bene e ne consiglio la navigazione.
Al di qua del fiume, di Alessandra Selmi, Editrice Nord, 2022, 484 pagine. Solo una notazione sulla copertina che nonostante sia molto bella, non c’entra davvero nulla con la storia. In ogni caso, l’opera è Dopo la prima comunione, di Crl Frithjof Smith, 1892.