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Le assaggiatrici, di Rosella Postorino


Ho finito di leggere ieri sera Le assaggiatrici di Rosella Postorino e prima di addormentarmi mi si è formata in testa una parola, che stamattina al risveglio era ancora lì. La parola è: Mah! Mah, perché dopo una serie incredibilmente lunga di libri che, per le ragioni più disparate ho amato, questo mi ha lasciata perplessa. Premetto che era da un bel po' che volevo leggerlo e forse, contrariamente al mio solito, avevo alte aspettative. Le aspettative uccidono il piacere, dico sempre. E infatti, è vero. Non che sia scritto male, eh, per carità, non mi sognerei mai di dirlo, anzi. Vincitrice del Premio Campiello 2018, la Postorino ha una prosa piacevole e fluida, la storia si segue benissimo e i personaggi sono ben delineati. È un bel libro, ma mi aspettavo ben di più da una storia curiosa e poco conosciuta come quella delle assaggiatrici di Hitler. 

Il libro racconta le vicende di Rosa, che vive a casa dei suoceri mentre il marito è in guerra in Russia e viene reclutata come assaggiatrice di Hitler e che quindi entra nel gruppo di donne che assaggiano il cibo per il Führer in modo da intercettare un eventuale avvelenamento. La narrazione percorre l'esperienza di questo eterogeneo gruppo che trova al suo interno dinamiche umane e amicali, così particolari e difficili in una Germania che sta per perdere la guerra, in mano a un dittatore pazzo e a un manipolo di Ss che sembrano non credere più molto nella causa, ma che restano autoritarie e crudeli. Ma Le assaggiatrici è anche una storia d'amore, tipico esempio di relazione "sbagliata ma inevitabile", che sfocia nell'unica possibile conclusione, di cui non dirò, ma che ho trovato francamente un po' banale. «Banale» è una parola che non uso praticamente mai, perché penso che nulla sia banale se lo si sa raccontare. In questo caso, però, mi sento di usarla perché tutto quanto è molto scontato – c'è la storia d'amore che può sembrare atipica, ma che in realtà ripercorre il ben noto meccanismo dell'attrazione vittima/carnefice e viceversa; c'è l'elemento dissonante nel gruppo che alla fine sposta gli equilibri; c'è l'amore di gioventù che non si sa se aspettare o no; c'è la relazione con l'Altro inteso come ancora di salvezza nei momenti bui – ma più che scontato diventa appunto banale nella misura in cui la storia avrebbe portato a pensare a un libro assolutamente particolare, proprio per il tema trattato. 

Per la Seconda Guerra Mondiale e la figura di Hitler si sono spese migliaia di pagine, di tutti i generi; si sono esplorate le strade più inesplorate; si sono scritti romanzi storici, documentari, distopici e fantascientifici; di tutto, insomma. Eppure quel periodo è stato così eccezionale che sembra non esserci fine ai meandri esplorabili. Questa delle assaggiatrici è una vicenda che poteva aprire a mille orizzonti curiosi e potenti: donne tedesche che venivano reclutate per assaggiare cibo potenzialmente letale, perché ogni donna tedesca non chiede altro che poter morire per salvare il suo Führer. A che incredibili possibilità di esplorazione della corruzione dell'animo umano può portare una cosa del genere! Il rischiare la propria vita per preservare quella del proprio carnefice, che tra l'altro sta per portare tutto e tutti alla rovina! E in più, per mangiare! In tempi in cui si sarebbe dato un braccio per una tazza di latte, le assaggiatrici mangiavano tre pasti al giorno; e mangiavano il cibo migliore della Germania, quello destinato al proprio "faro". Donne che avrebbero solo voluto avere a casa i loro mariti, i loro figli e che invece rischiavano a loro volta la morte – come ogni tedesco che si rispetti – per tenere in vita proprio colui che quei figli e quei mariti mandava a morire ogni giorno tra gli stenti e il gelo della Russia. Questo il quadro. Una bomba narrativa, in pratica. E invece la Postorino si limita a usare tutto questo per raccontarci di una storia d'amore un po' trita e ritrita – diciamolo – e di un gruppo di donne, ognuna con i propri problemi e paure (anche un po' stereoripati, permettete), ma che potrebbero essere inserite in qualsiasi altro contesto di disagio. Non c'è nulla sul rapporto con il cibo, non c'è nulla sul rapporto di queste donne con il rischio di una morte assurda, non c'è nulla sul rapporto di queste donne con la Germania. 

La storia fila, ci si appassiona anche ai personaggi: a Rosa, una "forse vedova" che vive con due suoceri senza figli; ad Albert, una Ss che sente di essere quasi senza più Führer da servire, le altre assaggiatrici, chi fragile, chi un'adulta mai cresciuta, chi un'impostora, traditrice di tutte le altre. Ma non viene fuori niente di davvero indimenticabile. Non c'è l'atmosfera, ecco. Delle parti un po' didascaliche ci ricordano i tempi e l'ambiente in cui si svolge la vicenda, perché se no, forse, ce ne dimenticheremmo. È molto insistito il raccontare lo stato d'animo di Rosa, che però ruota molto intorno al marito e ad Albert, più che non alla sua condizione di assaggiatrice. 

Da mesi ero dedita a un dolore che mi distraeva dal resto, un dolore tanto esteso da superare il suo stesso oggetto. Era diventato un tratto della mia personalità.

Interessante la vergogna che prova ad avere una storia con una Ss, più di tutti verso se stessa, ma, anche qui, è una cosa non proprio originale e che non viene comunque portata fino in fondo. Poteva essere molto interessante lo sviluppo di un rapporto con l'assaggiatrice Elfriede, ma anche questo viene interrotto senza aver avuto un vero e proprio svolgimento. È come se tutto restasse un po' in superficie e si aprissero spiragli che restano spiragli, senza mai vedere davvero cosa c'è oltre la porta. 

Penso che il libro soffra un po' del "male italico" di cui soffre spesso la nostra letteratura: la propensione per le storie piccole che fanno fatica a sfondare il muro delle nostre stanze. Non si parte dal personale per arrivare all'universale; ci si ferma prima e si rimane a raccontare piccole storie senza riuscire a dare respiro alla Storia. Il finale è emblematico di questo. Non lo svelerò naturalmente, ma posso dire che l'impressione è sempre che si stia parlando di Rosa, della sua vita, dei suoi affetti, ma che in realtà potrebbe essere raccontata anche in qualsiasi altro contesto di disagio, in altre parti del mondo. Le assaggiatrici rimane un libro intimista, che non riesce a rendere il grande sconvolgimento che queste donne hanno vissuto. Loro e con loro tutti noi. Resta lì: nel fienile di Rosa e in una sala mensa che non riesce a creare un senso di luogo universale, e sala mensa resta. 

Per me, una grande occasione sprecata.

Nella Nota dell'autrice, la Postorino racconta che non è mai riuscita a parlare con Margot Wölk, l'ultima assaggiatrice di Hitler all'epoca ancora in vita a causa della sua morte prima che potesse contattarla. Forse se avesse potuto parlare con lei, la vita quotidiana di queste donne, i loro sentimenti a riguardo del "lavoro" e della Germania, il legame tra di loro sarebbe venuto fuori in modo più completo e interessante. Purtroppo non lo sapremo mai. Ecco perché è così importate la memoria di chi c'era... 

Note a margine:
Questo libro mi dà però la possibilità di fare una riflessione molto contemporanea. Quando si sente parlare di "perdita della libertà", "costrizione", "limitazione delle scelte personali" sarebbe bene leggere libri così. Che fanno ricordare cosa vuol dire, veramente, vivere una vita in cui altri decidono per noi. Queste donne venivano arruolate senza possibilità di scelta; venivano prelevate tre volte al giorno per andare a rischiare la vita mangiando cose che non decidevano di mangiare (e alcune si sentivano anche fortunate, perché almeno mangiavano, anche se questo dal libro emerge molto poco); quando il Führer decideva, non tornavano proprio a casa e dormivano in caserma; erano perennemente sotto minaccia di diventare vedove o orfane, senza informazioni sui propri cari e a volte su loro stesse; venivano premiate se sfornavano più di otto figli, e poi amen se questi morivano di stenti o malattia. E si parla della Germania e di settantacinque anni fa, non lo Zambia del Medioevo... Ecco, tanto per ridimensionare la nostra visione della libertà personale...

Le assaggiatrici, di Rosella Postorino, Universale Economica Feltrinelli, 2018, 285 pagine. 

Il gatto nella foto: questi piccoli multipli d'arte seguono i percorsi immaginati dall'autrice, Antonella Cicalò, ma possono interpretare anche il flusso dei pensieri del committente che darà così lo spunto per realizzare il suo personale “gatto maestro”, unico e irripetibile. Questi collages sono realizzati con frammenti di riviste letterarie e da collezione, stagnola, legno da recupero e componenti industriali del pet food. Ogni pezzo è unico. per visitare il suo sito, qui !

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