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Ovunque occhi strabici,
cornee torturate,
implacabili pupille,
retine reticenti,
spiano, sospettano, minacciano.
Resta forse la soluzione di camminare da solo,
di svuotare l'anima di tenerezza
e riempirla di astio e indifferenza,
in questo tempo ostile, propizio all'odio.
Ángél González, Trattato d'urbanistica (1967)
Ho letto meraviglie di quest'opera ultima di Almudena Grandes, che ci ha lasciati troppo presto, e avevo molte aspettative. Devo dire che rispetto a Malena e Gli anni difficili, l'ho trovata meno bella, con una trama un po' macchinosa e una scrittura meno densa. Ed è proprio la sua scrittura così piena, così coraggiosa nell'essere descrittiva e a tratti lenta che mi è mancata ne La figlia ideale.
La trama è semplice: Germán Velasquez Martín, Maria Castejón Pomeda e Aurora Rodríguez Carballeira si ritrovano, per diverse vicende, al manicomio femminile di Ciempozuelos. Nel 1954, Germán, dopo anni di esilio in Svizzera, allontanato dalla Spagna dal padre, importante psichiatra perseguitato dai franchisti, torna in patria sulla spinta di una proposta di lavoro: sottoporre le pazienti del manicomio Ciempozuelos a un trattamento con la clorpromazina, un nuovissimo farmaco alla cui sperimentazione Germán lavora da anni. Qui è ricoverata da molti anni Aurora, rea confessa dell'omicidio della figlia nel 1933, ormai preda dei suoi deliri, schizofrenica, ma ancora in grado di ammaliare con la sua cultura e la sua intelligenza. Maria, figlia del giardiniere del manicomio, la accudisce e la considera un'amica, che le insegna a leggere e che le dà la speranza di una vita fatta non solo di lavori domestici e pazzi da accudire. Questo strano terzetto trova il modo di interagire, di capirsi e di affezionarsi. Ma la sperimentazione in ambito di medicina psichiatrica era severamente repressa dalla dittatura franchista. E così l'improvvisa decisione dall'alto di interrompere il trattamento con la clorpromazina e le sue conseguenze portano a una catena di eventi che vede, alla fine, la diaspora del terzetto, ma anche il rinsaldarsi dei legami tra i tre, anche a distanza.
«Morale» sorrideva per addolcire le sue conclusioni «in fondo siamo fortunati a lavorare in un manicomio. Così non cambiamo aria quando entriamo e usciamo dal lavoro».
Gli avvenimenti sono molti, sia dentro che fuori dal manicomio, e molto fanno comprendere della situazione politica, sociale e religiosa della Spagna del tempo. Le figure del sacerdote Armenteros e di Suor Anselma sono grette, false, a tratti spietate, e incarnano un intero periodo storico, che molto aveva a che fare con una malata moralità e molto poco con l'etica. C'è tanta critica, tanta condanna e forse, tra i tre che ho letto (naturalmente troppo pochi per avere un quadro della produzione della Grandes) è quello che più direttamente ne parla; esplicitamente, senza farlo trapelare tra le righe. E forse questo è anche grazie al fatto che è il più recente, quello che più ha distanza dai fatti narrati.
La Spagna è la riserva spirituale dell'Occidente, il paese scelto da Dio, la più cattolica delle nazioni, la figlia prediletta dello Spirito Santo, della Vergine Maria e del Papa di Roma. Ed è per questo che qui si sono convinti tutti che hai perso la testa per Maria e pensi solo a portartela a letto. Credi sia assurdo? Ridicolo? Ingiusto? Invece no. È la Spagna. Qui è così che vanno le cose.
Insomma, l'Inquisizione spagnola non si è mai estinta, continua a spargere l'amaro veleno del giudizio e del disprezzo per tutto ciò che viene considerato immondo, portandoci a una domanda: chi è il pazzo? Chi è quello che inverte la realtà? Chi è quello che vede cose che non ci sono e contemporaneamente disprezza ciò che vorrebbe comprare? Mi è venuto in mente Frollo, che condanna la gitana Esmeralda per il semplice, umano fatto che non la può possedere. Con l'enorme differenza che lo straordinario romanzo di Hugo Notre-Dame de Paris si svolge nel Medioevo, mentre qui parliamo degli anni Cinquanta! Di un Paese europeo, un continente in cui è appena finita una guerra sanguinosa... sembra incredibile ci si occupi di certe cose, eppure...
Com'è strano questo Paese! Alla gente non interessa altro. Spiano, criticano, pensano male degli altri, si fanno il segno della croce perché è peccato, ma non sanno fare altro che parlare di sesso, non pensano che al sesso, è l'ossessione nazionale...
Buoni e cattivi, santi e peccatori: Aurora è la peccatrice per eccellenza, l'assassina della propria figlia, una Medea senza Giasone. E Germán invece che volerla rinchiusa, vuole curarla, vuole capirla, fino alla fine. E Maria la considera un'amica! Una donna da ascoltare, che ha qualcosa da insegnare. Il desiderio di capire scavalca il bisogno di giudicare. Ma Maria ha anche un segreto, ha commesso il peccato dei peccati - l'aborto - non è nessuno per additare gli altri. A suo modo, per come la vedono gli altri, anche lei è un'assassina. Siamo tutti peccatori, e tutti espiamo come possiamo, come riusciamo, fino a che siamo giudici di noi stessi. Quando sono gli altri a ergersi a giudici, sottostiamo a una legge superiore, che non è quella di Dio, ma dei meschini uomini che si ergono a Sua voce. E succedono i disastri.
C'è moltissimo in quest'opera ultima della Grandes. Molta Storia, molta analisi storica, molta rabbia nei confronti di un Paese in cui non ci si riconosce ma in cui bisogna vivere, molto dolore. È un libro intenso, anche se, come dicevo, non ho ritrovato la scrittura corposa e ricca che avevo amato in Malena. C'è da dire che sono comunque due libri molto diversi.
Anche i salti temporali li ho trovati un po' troppi e un po' macchinosi. A volte le storie si accavallano in modo un po' confuso. E anche la figura di Aurora secondo me è poco approfondita. Si sofferma molto sull'ex moglie di Germán, Rebecca, e anche sull'infanzia di Maria, ma poco ci dice della vicenda di Aurora con la figlia Hildegart. E la figura di Aurora sembra essere più un espediente, un trait d'union per la storia di Germán e Maria che un personaggio con un vissuto importante per se stesso.
Ma, c'è un grande ma. Alla fine del libro c'è una Nota dell'autrice in cui la Grandes dice:
La figlia ideale è un romanzo inventato costruito su fatti reali.
Leggendo questa nota si scoprono l'origine e le motivazione di questa storia. Fondamentale secondo me leggerla prima di iniziare. Si scoprono così molte cose che sono secondo me essenziali per apprezzare fino in fondo il romanzo. Curioso sia stato scelto di metterla come postfazione. Penso sia un errore, davvero. Avrei colto molto di più, compreso molto di più e sicuramente molto più apprezzato questa vicenda se l'avessi immersa nella sua realtà, nella sua verità.
La figlia ideale, di Almudena Grandes, Guanda, 2020, 520 pagine. Traduzione di Roberta Bovaia