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Gli anni difficili, di Almudena Grandes


Almudena Grandes
era una maga. Una maga della parola che attira all'interno delle sue storie con la potenza della narrazione. Come Malena, un nome da tango, Gli anni difficili scava nei personaggi per estrarne la carnosa polpa del ricordo e farci assaporare il succo del segreto. Pochi personaggi, potenti, pieni di vita, di carattere e di passato. Juan, Sara, Maribel, Tamara, Alfonso, Andrés, il presente; Charo, Damián, donna Sarita, Vicente, il passato; Nicanor, il traghetto... Nessuna figura marginale, nessun espediente letterario, nessun personaggio-ponte. Gli attori della vicenda agiscono sullo stesso piano, ognuno con la sua dignità di protagonista. Lo stile della Grandes è unico, pregno: frasi lunghe, articolate, ricche di aggettivi, di descrizioni, di incisi, di preziosismi. Una grande scrittura, attenta al dettaglio, senza paura del ridondante, senza paura di affondare il coltello nella grammatica, e soprattutto senza paura della punteggiatura usata fino all'ultima interpunzione e dell'apertura di incisi e di "a parte". La scrittura che piace a me, insomma, che rifuggo dal minimalismo, dai periodi brevi e dai capitoli corti. 

Le vite difficili creano adulti difficili.

Gli anni difficili è un libro sulla famiglia, non quella di origine (vista più come origine dei guai), ma quella che ci si sceglie, che si costruisce e che può arrivare a qualsiasi punto della vita. Anche quando si hanno già divorzi e figli sulle spalle, e lutti elaborati e da elaborare, e passati che elaborare non si può, e amanti, e vergogne, e colpe, e incapacità di amarsi e di amare, e ferite non chiuse, e dolori che non si chiuderanno mai. Del resto il tema della famiglia è caro alla Grandes e sembra sempre trascendere i confini dell'anagrafe per invadere felicemente quelli della vita sociale. Sara e Juan, per motivi diversi, in fuga entrambi da qualcosa, si ritrovano a vivere a pochi metri di distanza in un paesino di mare nel golfo di Cadice, Rota, dove spirano venti primordiali e si respira l'aria dei confini d'Europa. La donna delle pulizie di Sara, Maribel, ha un figlio, Andrés, ed entrambi finiranno a casa di Juan, medico ortopedico, che si è trasferito lì con la nipote Tamara e il fratello disabile Alfonso, dopo la morte della cognata e dell'altro fratello. L'incrociarsi di queste vite genera una terza vita, diversa dalle due di origine, ma che le comprende e le abbraccia e le sublima in un qualcosa che assomiglia alla felicità e all'amore.

Juan Olmedo fissò gli occhi di quella donna, che a volte erano grigi, a volte marroni e a volte verdi, ma sempre del colore delle tempeste, e lesse nel suo sguardo che l'unica strada possibile è avanzare, andare avanti, percorrere i binari fin dove iniziano a fiorire i papaveri, immaginare un posto dove non arrivano i treni, e trovarlo, e fermarsi sulla riva dell'oceano per imparare che se soffia a destra è ponente, e se soffia a sinistra è levante, e se viene dal davanti è vento del Sud, ma che tutti cancellano la via del ritorno. C'era molta vita in quegli occhi, una storia molto lunga, e il futuro.

Tutti i personaggi sono in fuga da qualcosa; e tutti sono come i granchi di cui parla Sara a Juan durante una passeggiata sulla spiaggia:

I granchi camminano di lato. (...) «Non è strano?», insisté lei. «La prima volta che l'ho visto sono rimasta stupefatta. Senti ripetere la stessa cosa per tutta la vita e poi salta fuori che è una bugia. Per questo mi piacciono. Perché non indietreggiano davanti agli ostacoli, ma ci girano intorno, che è un modo diverso di fuggire. Sono astuti, ma non codardi, ti rendi conto? Ho deciso che mi stanno molto simpatici i poveri granchi».  

Il personaggio di Sara è struggente, fortissimo e disarmante allo stesso tempo: figlia di due famiglie, cresce nell'agio nel centro di Madrid, per poi essere "riconsegnata" alla famiglia in modo brusco e traumatizzante, resterà lacerata in una identità incerta, in cui non si riconosce, ma da cui non può scappare.

Aveva sempre avuto talmente poche cose da non aver mai imparato a congedarsi da nulla. Tutte le storie vere si assomigliano, tutti i finali sfociano nello stesso finale, tutte le fiabe nella stessa menzogna, non importa quante paia di scarpe dormono in fondo all'armadio, che le guerre siano fittizie o reali, che il nome delle strade sembri una frontiera.

E invece, a volte, i finali ci stupiscono e la vita ha ancora sorprese da regalarci. E a volte basta una persona, una sola che creda in noi, e tutto cambia, come l'orizzonte sferzato dal levante, o l'andatura di un granchio che non trova ostacoli sulla spiaggia. 

PS Ho appreso una storia che non conoscevo: quella del massacro di Casas Viejas, una parentesi sanguinosa della Storia spagnola, avvenuta nel 1933. Molto interessante nel suo orrore.

Gli anni difficili, di Almudena Grandes, Guanda, 2002, 641 pagine. Traduzione di Ilide Carmignani

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