Passa ai contenuti principali

Donne che comprano fiori, di Vanessa Montfort


Un negozio di fiori incastonato in un vivace e artistico barrio di Madrid; una fioraia eccentrica e misteriosa; cinque donne, ognuna con le proprie paure e le proprie particolarità, unite dall’abitudine di comprare fiori; un’amicizia salvifica nata all'ombra di un ulivo centenario, sulle vestigia di un antico cimitero.


Questi gli ingredienti di Donne che comprano fiori, di Vanessa Montfort, delicatissimo libro scritto in prima persona da Marina, quarantenne fresca di vedovanza che si ritrova un po’ per sbaglio a lavorare al Giardino dell’Angelo, il negozio di fiori gestito da Olivia, dove conoscerà le altre quattro donne protagoniste: Casandra, diplomatica di successo, che compra fiori da mandare a se stessa per dimostrare ai colleghi di avere una vita privata; Aurora, talentuosa pittrice, vergine trentacinquenne che, aspirante Madonna, vorrebbe diventare madre senza un compagno; Galatea, stilista mangia-uomini, incapace di amare ma incapace di non amare; e Victoria, moglie e madre, donna in carriera, superwoman senza superpoteri con un amore segreto… La trama si sviluppa tra flashback e tempo reale e racconta di come l’incontro tra queste donne porta tutte le protagoniste a dare una svolta alla propria vita e a sublimare i propri dolori. È un inno all’amicizia femminile e alla forza che dà l’appoggio di altre anime affini. 

Lei credeva in me e io credevo in lei in quanto non eravamo capaci di credere in noi stesse. E noi donne agiamo per contagio, come diceva Olivia. Troviamo la nostra forza nella forza delle altre. Come una catena.

Il libro mi è piaciuto molto, forse un po’ lento e reiterato verso la fine, sicuramente un po’ retorico, ma corre via come acqua fresca e lascia addosso una bella sensazione, di dolcezza, commozione e forza emotiva. Ci sono molti rimandi a scrittrici che amo, come Virginia Woolf e Rosa Montero; momenti curiosi in cui l’autrice compare nei panni di se stessa; scene ambientate in un piccolo teatro di Madrid – La Pensión de las Pulgas – che appena potrò andrò sicuramente a visitare. È un libro sul potere dell’amicizia, che trascende i luoghi comuni e riporta la donna al centro del proprio universo, senza prescindere dall’amore dell’uomo, rendendolo necessario al cuore, ma non alla vita quotidiana. Un inno all’indipendenza femminile senza che questa diventi bandiera di un certo “suffragismo” di ritorno. 

Le farfalle affrontano una lunga fase larvale e la fatica di diventare crisalidi per volare soltanto un giorno. Sai perché? Perché ne vale la pena.

Ho letto critiche contrastanti a questo libro e mi pongo dalla parte del sì, per tutti questi motivi. E ci aggiungo un plauso al finale, che mi ha commossa moltissimo senza essere retorico o smielato. 


Questo per quanto riguarda il libro in sé. Ma vorrei in questo caso anticipare le Note a margine e renderle parte integrante del commento al libro. Ho letto poche settimane fa – e ne ho parlato sul blog – Noi che ci vogliamo così bene, di Marcela Serrano (una serendipity libresca, visto che ho comprato i due libri per caso, attratta da titolo e copertina, ma non conoscendone l'argomento). Anche lì, la storia di un’amicizia tra donne diverse ma unite da un mondo in comune, quello della travagliata vita politica cilena dagli anni Settanta ai Novanta. Anche lì, una narratrice in prima persona racconta le vicende di se stessa e delle altre. Qui, in Donne che comprano fiori, la Montfort ci racconta invece la storia di un’amicizia tra donne nella Spagna “libera” degli anni Duemila. Due parallelismi molto interessanti per fare delle riflessioni su un qualcosa che sempre di più sta venendo alla ribalta come tema ricorrente: le donne e il loro rapporto con se stesse e con la società. Perché l’animo femminile è lo stesso: la voglia di indipendenza, ma senza rinunciare ad avere un uomo a fianco; il bisogno di affermarsi nella carriera, ma senza rinunciare alla famiglia; il sentirsi libere di scegliere se avere o no figli, ma senza rinunciare all’accettazione sociale; la spinta a essere forti, fiere, decise, ma senza rinunciare alla propria femminilità e al diritto alle proprie debolezze. Valori che sono comuni a (quasi) tutte le donne di (quasi) tutti i luoghi e tempi. Ma la società, la politica, il progresso influiscono pesantemente sull’essere donna (e, in generale, sull’essere individuo). Stessi desideri, risultati diversi e diversi modi per soddisfarli. Le donne della Serrano – intimamente accomunate a quelle della Montfort per vissuto e desideri – si trovano a combattere contro una dittatura sanguinaria prima e un mondo in profondo cambiamento poi, adattando la propria vita a quella politica del Paese, convertendo l’io in noi (intendendo con quel noi la società tutta, il popolo), sublimando la propria voglia di libertà e affermazione nella Rivoluzione, nella liberazione del Paese, nella lotta per riacquistare quel senso di insieme all’interno del quale l’individuo possa trovare la sua «stanza tutta per sé». In un mondo in cui le donne non mettevano al mondo figli per non “regalarli” alla dittatura, la maternità diventa un atto rivoluzionario, la negazione di essa una scelta individuale, il fare figli senza un uomo, la normale pratica di chi i compagni li perdeva sul campo, durante la lotta per liberare il Paese in vista di un mondo migliore per quegli stessi figli. Una femminilità al servizio del popolo, insomma, in cui la ricerca della felicità personale era considerata diserzione e la propria affermazione, un imperdonabile atto di presunzione. Le donne della Serrano lottano per restare vive e per costruire un mondo migliore per se stesse e per gli altri.


Parallelamente, le donne della Montfort vivono nel mondo libero, democratico, semplice – diciamolo – in confronto ad altre realtà. La bohème del barrio de las Letras è un florilegio (è il caso di dirlo) di artisti, di colori, di libertà. Tutto l’opposto del Cile oppresso e faticoso della Serrano. Si potrebbe pensare che qui le donne siano libere, disinibite, padrone della propria femminilità e della propria vita. E invece scopriamo che le gabbie esistono dappertutto e sempre, e che se non ci sono, ce le costruiamo da sole. Le donne della Montfort sono vittime di se stesse, dei propri schemi mentali, delle proprie famiglie – famiglie che si sostituiscono al Governo nell’imposizione dei propri valori e ideali. Nel Cile degli anni Settanta a importi una personalità era lo Stato, nella Spagna degli anni Duemila sono la mamma e il papà, gli amici e colleghi, il proprio ambiente sociale e in ultima analisi se stesse. Ma la lotta interiore è la stessa. Anzi, mi spingo a dire che paradossalmente le donne della Spagna del Duemila fanno ancora più fatica, in quanto molto più sole contro la società; non ci sono gruppi rivoluzionari ad appoggiarla; non ci sono scuse sociali dietro cui nascondere le proprie scelte personali. La donna spagnola contemporanea decide di se stessa e si prende le responsabilità delle proprie azioni, senza alibi, senza pretesti. 


Chi sta meglio, quando e dove? Non c’è risposta. La donna da sempre è sottoposta alle scelte dell’ambiente in cui vive e lotta per affrancarvisi. Con i propri dolori rimossi (come Olivia, come Marina), con le proprie scelte sessuali e familiari (come Casandra e Victoria), con il proprio desiderio di essere madre senza marito (come Aurora). E sempre, a ogni latitudine e in ogni tempo, ognuna ha i propri segreti, fonti di paura e felicità. Sempre e in ogni luogo. Sono letture per capire meglio, per capirsi meglio, e dunque preziose.


Influssi, rimandi, suggestioni: Non so perché – non c’entra né la storia né l’ambientazione – ma durante la lettura continuava a venirmi il mente Il favoloso mondo di Amélie, forse per la meravigliosa colonna sonora di Yann Tiersen che mi sembra molto adatta all’atmosfera del libro. Ma quello che mi sento di affiancare alla lettura è senza dubbio un bicchiere di vino rosso e stampe floreali e tanta leggerezza mentale, come il vento che sospinge la nave di Marina, ma con la mente rivolta alla terraferma dei propri diritti e della propria Storia.


Donne che comprano fiori, di Vanessa Montfort, Universale Economica Feltrinelli, 2016, 370 pagine, 9,90 euro. Traduzione di Enrica Budetta


Il gatto nella foto: questi piccoli multipli d'arte seguono i percorsi immaginati dall'autrice, Antonella Cicalò, ma possono interpretare anche il flusso dei pensieri del committente che darà così lo spunto per realizzare il suo personale “gatto maestro”, unico e irripetibile. Questi collages sono realizzati con frammenti di riviste letterarie e da collezione, stagnola, legno da recupero e componenti industriali del pet food. Ogni pezzo è unico. Per visitare il suo sito, qui !

Post popolari in questo blog

L'ottava vita (per Brilka), di Nino Haratischwili

 Mi ero ripromessa di lasciar passare un po' di tempo prima di leggere altre saghe familiari, avendo ampiamente dato nel 2021 ( il ciclo dei Leoni di Sicilia , Prima di noi , la saga dei Clifton , La casa sull'argine , Gente del Sud ...); ma poi, in biblioteca, mi sono ritrovata tra le mani questo tomo notevole di più di mille pagine, e mi sono incuriosita. In più, Nino Haratischwili nasce drammaturga e regista e la mia "deformazione teatrale" ha preso il sopravvento. Ringrazio la mia capacità innata di non tenere fede ai miei propositi! Altrimenti non avrei letto quello che penso sia un capolavoro, un libro che va oltre la famiglia, oltre la Storia, oltre il tempo e lo spazio, compenetrandoli con la scrittura. Stasia (che parla con i fantasmi), Christine , Kitty , Elene , Daria , Niza (la narratrice) e Brilka (la destinataria di questa storia e dell'ottava vita); ma anche Mariam, Sopio, Ida, Alla, Lana, Nara, Fred, Amy... sono le donne le protagoniste di ques

Tre, di Valérie Perrin

  Puro intrattenimento, ottimo. Dopo Il quaderno dell'amore perduto (bruttissimo il titolo italiano; suonava così bene in francese: Les Oubliés du dimanche  [I dimenticati della domenica])  e Cambiare l'acqua ai fiori , la Perrin torna a parlare di passato e di come il passato sia inevitabile vettore delle nostre vite, nel bene e nel male; come non possa cancellarsi; come possa essere rifugio e pietra al collo, consolazione e condanna. Banale? Un po', indubbiamente. Ripetitivo? Anche, forse. Ma devo dire che non mi stanca mai. È una di quelle autrici che non consiglio di leggere in modo "seriale"; penso che tra un libro e l'altro sia meglio inserire altre letture per non rischiare di cadere un po' nella reiterazione del meccanismo. Ma se si vuole "staccare il cervello" con letture di evasione, avvincenti e scritte bene, allora la Perrin per me è perfetta.  Con Tre ci porta a La Comelle , un paesino della Borgogna, uno di quelli da cui i ragazzi

La variante di Lüneburg, di Paolo Maurensig

  Ho trovato per caso, tra altri libri, sistemando una casa per affittarla, La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig . Incuriosita, non conoscendo l’autore né il titolo mi sono informata, scoprendo che è considerato un capolavoro nel suo genere. Beh, lo confermo. L’ho letto in un giorno, senza riuscire a staccarmene. Non amo etichettare i libri per genere, ma se dovessi farlo per questo, onestamente non saprei dove collocarlo. Inizia come un giallo, con la morte di un uomo d’affari e scacchista, Dieter Frisch , che viene catalogata come suicidio. Ma sul cui corpo viene ritrovata una scacchiera di stoffa, cosa che fa pensare invece più a un’esecuzione. Con un flashback del giorno prima della morte, ritroviamo Frisch in treno impegnato in una partita a scacchi con un collega. A un certo punto nello scompartimento entra un uomo, Hans Mayer , che comincia a raccontare una storia sul suo maestro-mentore-padre adottivo, Tabori , ex detenuto del lager di Berger Belsen che si scoprirà avere