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Noi che ci vogliamo così bene, di Marcela Serrano


 

Non so come ho fatto a stare quarantaquattro anni senza Marcela Serrano. Ho preso Noi che ci vogliamo così bene perché l'autrice mi si ripresentava davanti in più occasioni e mi piace assecondare il caso e curiosarci dentro. Ho fatto bene. La vita di quattro donne, legate da un'amicizia nata dalla situazione politica del proprio Paese, è il motore di questo romanzo delicato e potente al tempo stesso.

Il Cile della dittatura; l'educazione alto-borghese; le lotte; la clandestinità; il sesso; il matrimonio; la maternità; l'aborto; la sregolatezza; la dipendenza psicologica; la fame di riscatto; la fame di libertà; la fame d'amore; la morte. Tutti temi complessi, pesanti, per territorio ed epoca a noi lontani, trattati con una grazia e una forza che, forse, solo una donna può avere, nel parlare di donne.  

Le protagoniste sono Maria, bella, sensuale e combattiva, ma in fondo profondamente fragile e insoddisfatta; Isabel, psicologicamente dipendente dal marito e con figli a carico, ma in esausta ricerca di libertà; Sara, che rifiuta il matrimonio e vuole sempre vivere al massimo delle proprie forze; e Ana, più ascoltatrice che narratrice, che vive alla giornata. Maria, Isabel e Sara vanno a passare una mini-vacanza rilassante da Ana, quattro donne diversissime per provenienza, cultura, desideri che raccontandosi e ascoltandosi ripercorrono la propria vita (dagli anni Sessanta ai Novanta, passando per Allende e Pinochet), ognuna con i suoi dolori, i suoi rimpianti, le sue gioie, ma con punti in comune: l'amore per il proprio Paese, la lotta contro la dittatura che lo strangola e la ricerca del sentimento perfetto, ognuna a propria misura. Ed emergono i punti di contatto e di frizione tra la propria vita e quella della propria patria, tra la dittatura sanguinaria di Pinochet e l'avvento dei tempi nuovi, con tutte le contraddizioni che si trascinano dietro. E in mezzo a tutto questo la Serrano fa risaltare la donna, nel modo potente e profondamente femminile come solo il "vero" femminismo sa fare. Lontano dalle logiche banalotte e stereotipate dei nostri giorni, le donne della Serrano combattono per rivendicare i propri diritti, al fianco degli uomini, respingendo gli stereotipi della figura femminile ferrodastiro-bambini, scavalcando le questioni di classe. E i maschi sono figure molto belle, mai relegate a contraltare della donna, ma veri, duri o spaventati, ma profondamente umani. 

La Serrano non usa la figura sminuita del cosiddetto "sesso forte" per far risaltare la figura della donna, come spesso succede. Perché le sue donne non ne hanno bisogno. Questo libro mi ha riconciliato con un certo tipo di femminismo, che è quello che non ritrovo ai nostri tempi ed è quello basato sulla vera necessità di liberazione e rivendicazione di diritti, sulla vera rinuncia, sulla vera scelta, indipendentemente dal patriarcato e in cui la donne si afferma senza bisogno di "scopiazzare" gli atteggiamenti dell'uomo, ma anzi, facendo della propria femminilità un punto forte, in antitesi al machismo. 

Sono le donne dell'altra borghesia colta cilena che entrano in clandestinità per il proprio popolo, rinunciando ai figli, alla vita agiata e ai rapporti stabili. Donne che rivendicano il proprio ruolo per se stesse e non in contrapposizione all'uomo. Una figura femminile conscia dei propri limiti, proprio in virtù della propria forza:

È stata colpa mia. È per questo che ho chiuso il capitolo matrimonio. Perché se mi innamoro, perdo ogni dignità. Perché sono un essere umano che è stato capace di vivere quello che ha vissuto, per scelta. Mi vergogno della Sara di quegli anni: se mi è successo quello che mi è successo è stato perché io l'ho permesso.

La presa in carico del proprio essere e delle proprie scelte, la rinuncia alla tranquillità e alla protezione in nome di ciò che si è. Il tutto condito dalla paura e dalla precarietà della clandestinità.

E la rivendicazione della propria bellezza, come valore e non come motivo di discriminazione:

Tutti credettero che la femminista fosse la signora cupa del Cema perché era brutta, si vestiva male, perché il suo sguardo era privo di dolcezza» [...] Non ho bisogno di essere femminista per capire quanto è retrogrado un uomo che deve distruggere il fascino di una donna per poter credere a ciò che dice.

La famiglia è la propria nazione e, come in una famiglia, quando è in pericolo si fanno sacrifici e scelte difficili per andare in aiuto. Il noi prima del tu,

Optare per la propria felicità era considerato un atteggiamento quasi osceno.

Ma quando le nazioni si risanano e si riprende a pensare a sé, è allora che si scoprono le proprie magagne e ci si scontra con le conseguenze delle proprie azioni di quando si pensava di fare la cosa giusta: ma non sempre la cosa giusta per l'umanità coincide con la cosa giusta per noi stesse, soprattutto se questa porta a rinunce fondamentali, come i figli o il "vero amore". E la si paga, presto o tardi.

La forza delle donne di questo romanzo dipinge un affresco straordinario in cui il particolare si fa universale e le piccole storie diventano Storia. 

Atmosfere, connessioni, influssi:  Maria legge Antonin Artaud, un autore che amo moltissimo e che con il suo Teatro della Crudeltà ha influenzato gran parte dell'arte scenica del Novecento, perlomeno nelle sue espressioni più conflittuali e interessanti. 

Mi sono venuti in mente i romanzi di altre due scrittrici sudamericane da accostare a Marcela Serrano, che mescolano vita e rivoluzioni in romanzi di enorme impatto e valore: Isabel Allende (sempre Cile) e Gioconda Belli (Nicaragua): tutte e tre scrivono libri in parte autobiografici che rimandano l'immagine di paesi interi, di popoli in lotta per la propria libertà globale e personale (e si somigliano anche un po' fisicamente).

Note a margine: Ho un rapporto ambivalente con il femminismo. Anche se non voglio entrare in argomento perché non è la sede adatta, ho sempre pensato che il femminismo fosse una cosa molto seria che va affrontato con la giusta dose di determinazione e coraggio. In questo periodo si sente molto parlare di femminismo, ma non vedo né i mezzi di lotta né le motivazioni neanche sfiorare minimamente la serietà che richiederebbero. E vedo sempre più caciara e sempre meno disposizione al sacrificio. Ecco, consiglierei di leggere la Serrano per avvicinarsi un po' a quello che, forse, sarebbe giusto che fosse un vero movimento femminista.
Certo, le situazioni politiche sono fondamentali: ci siamo dimenticati da tempo cosa voglia dire rinuncia, pericolo, lotta per gli ideali e lo vediamo giorno dopo giorno nei comportamenti delle persone (non in tutte, non mi piace generalizzare, ma in molte. Troppe). L'America Latina invece, il Cile in particolare, ha ancora in bocca un sapore di dittatura troppo recente per essere stato dimenticato (Pinochet cade nel 1990 e la ricostruzione è ancora in corso). È anche vero che non bisognerebbe aspettare il disastro per cambiare dei meccanismi, e la globalizzazione contemporanea dovrebbe aiutarci a conoscere le altre realtà e a trarne tesoro. Ma sappiamo che così non è... In tema di femminismo credo che le donne sudamericane abbiano molto da insegnarci.

Noi che ci vogliamo così bene, di Marcela Serrano, Universale Economica Feltrinelli, 2020 (1991), 255 pagine. Traduzione di Silvia Meucci

Il gatto nella foto: questi piccoli multipli d'arte seguono i percorsi immaginati dall'autrice, Antonella Cicalò, ma possono interpretare anche il flusso dei pensieri del committente che darà così lo spunto per realizzare il suo personale “gatto maestro”, unico e irripetibile. Questi collages sono realizzati con frammenti di riviste letterarie e da collezione, stagnola, legno da recupero e componenti industriali del pet food. Ogni pezzo è unico. Per visitare il suo sito, qui !

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