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Un solo paradiso, di Giorgio Fontana

Un solo paradiso, Giorgio Fontana

Ecco cos’era Milano. Era una città di addii.

Ma quanto scrive bene Giorgio Fontana? Riesce a descrivere le pieghe dell’animo umano in modo così preciso e così poetico insieme! E com’è versatile. Morte di un uomo felice parla di legge, magistratura, terrorismo; Prima di noi è un grande (e meraviglioso) affresco storico-familiare; Per legge superiore è una riflessione etica ed esistenziale sul concetto di civiltà e giustizia; Un solo paradiso è la storia di un uomo che impazzisce per amore. Fil rouge della sua opera è l’esplorazione dell’interiorità dell’uomo, il suo domandarsi e il suo provare a rispondersi, la visione della vita, della morte e di quello che ci sta in mezzo. Mai come in Un solo paradiso però l’anima di un uomo, Alessio Bertoli, viene messa a nudo, spogliandola degli alibi e lasciandola a dibattersi, sola, nel nulla che il corpo vede e percepisce. 

... comprese che la fonte autentica della sua felicità stava proprio nel fatto di essersi reso inerme.

Ma naturalmente, il malessere di Alessio non è solo legato alla fine della storia con Martina, che dopo un periodo di amore e passione folli decide di tornare con l’ex di cui è sempre rimasta innamorata. Alessio è un pessimista, un cinico quasi, con una famiglia sballata alle spalle, poca stima di sé e la tendenza a considerare l’impossibilità di essere felice. Il fratello Angelo, ex tossico e mezzo delinquente, entra ed esce di galera, pensa di potergli dare lezioni di vita; il padre è una nullità, rabbiosa e rancorosa; entrambi si vergognano del malessere di Alessio, loro, uomini duri che affrontano le cose a cazzotti. Gli amici gli dicono di smetterla di piangersi addosso, che il tempo guarisce tutto, che le donne vanno e vengono. Pure la migliore amica Laura e l’ex coinquilino Luca a un certo punto lo mandano a ranare. Alessio è sempre più solo in balia delle droghe e dell’alcol e, soprattutto, di sé stesso. Ma è vero che è un frignone che gode nello stare male? Forse. Non è un personaggio simpatico e tantomeno empatico. Ti viene da dirgli: «Ma sta su de doss!, che hai una cerchia di amici che ti vuole bene, un buon lavoro, la possibilità di viaggiare, l’amore per la musica jazz»... Ma chiunque di noi abbia avuto a che fare con ansia, panico, depressione sa che se si potesse reagire così a tutto non esisterebbero certe “patologie”, più o meno diagnosticate, più o meno gravi. Inoltre, la paura della felicità è sempre legata alla paura di perderla la felicità... 

... il vero punto della storia, come mi disse finalmente al Ritornello: si sopravvive a tanti inferni e non a un solo paradiso.

Perciò ci si domanda? Alessio è un frignone, che ama autocommiserarsi e dirsi quanto è sfortunato, o è una persona particolarmente profonda, che “sente” più degli altri, che non riesce a scacciarsi di dosso le cose con una scrollata di spalle? E la domanda immediatamente successiva è: e io? Che è quello che si chiede l’amico a cui Alessio he racconta la sua storia, sugli sgabelli del Ritornello, il vecchio bar di ritrovo universitario vicino a Porta Venezia, scolandosi una birra dietro l’altra. Alcol e Xanax sono ormai i suoi migliori alleati, l’idea di scomparire dal mondo, il pensiero fisso. Sparire da una città, Milano, che chiede sempre di più e consola sempre di meno, sulla cui spalla per piangere ormai ci vogliono sempre più soldi, fama, faccia tosta. 

Da quella panchina immaginò di scrutare l’intero continente con le sue ferite, i suoi quartieri poveri, i suoi party, le sue foreste, le sue piazze, i suoi sobborghi, i suoi cimiteri, le sue fabbriche, le sue cattedrali, i suoi ragazzi in fuga: maledetta Europa, a quale illusione ci hai consegnati? Credevamo di poter ricevere la conoscenza e l’amore, e tu ci hai tolto entrambi. 

Perché Fontana apre sempre. Apre a un mondo in cui è difficilissimo stare male, avere bisogno di aiuto; in cui è sempre più difficile trovare ciò che si è perso, coltivare affetti veri, dire «arrivederci» e «addio» e «grazie»; parlare con la famiglia, con gli amici; soffrire. Sì, è difficile soffrire, non è accettato, devi sempre non pensarci, uscire a divertirti, a sballarti, fare finta di niente, buttarti tra le braccia di chiunque perché tanto una/uno vale l’altro/altra. E se non ci riesci, se soffri troppo, se la sofferenza si porta dietro sofferenze sopite, allora sei uno sfigato, uno che non ce la fa, uno che si martella gli zebedei, uno che non ha le palle! E resti solo. (E il romanzo è del 2016, figuriamoci adesso!). Fontana è ferocemente bravissimo a farci sentire in colpa per il modo che abbiamo di rapportarci alla sofferenza altrui. E allora Alessio è quell’amico che non abbiamo ascoltato abbastanza, quell’amico che abbiamo portato fuori a bere ma che poi non abbiamo richiamato, quell’amico che non sentiamo da una vita, e chissà com’è andata poi con quel problema lì. Fontana apre domande cui forse è troppo doloroso rispondere, e allora andiamo avanti con la nostra vita, facciamo finta di niente, quell’amico che è sparito nel nulla forse tornerà, o forse no...

Consigli di musica: tutto il jazz, in particolare Giant Steps di Freddie Hubbard e Autumn Leaves nella versione di Adderley Miles Davis. 

Un solo paradiso, di Giorgio Fontana, Sellerio, 2016, 194 pagine. 

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