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Prima di noi, di Giorgio Fontana


Un grande romanzo, così mi sento di definire Prima di noi di Giorgio Fontana. Un grande romanzo in cui la Storia del nostro Paese scorre tra le pagine parallela e intrinsecamente legata alla storia della famiglia Sartori, friulana di origine e lombarda di adozione, che attraverso le generazioni ci conduce in modo avventuroso e profondo tra le pieghe del nostro passato, del nostro presente e, in parte, del nostro futuro.

La vicenda inizia durante la Grande Guerra, con Maurizio Sartori che, disertore, troverà rifugio presso una famiglia in Friuli, che diventerà, suo malgrado la sua. Figli, che diventano padri, che diventano nonni, in un susseguirsi di storie personali che fanno parte di un unico grande corpus: la storia dell'essere umano. Grande Guerra, Seconda Guerra Mondiale, i partigiani, la Ricostruzione, le lotte operaie, gli Anni di Piombo, la lotta armata, l'anarchia, gli anni Ottanta, il berlusconismo, il vuoto politico e sociale, la fuga verso l'estero, il nostro difficile presente. Tutto ciò che ha fatto parte della vita, se non dei genitori, per molti dei nonni.

I Sartori sono molto diversi l'uno dall'altro: c'è l'intellettuale, il tradizionalista, l'operaio comunista, il bigotto, il cinico, la pasionaria, l'omosessuale; quello che perdona tutto e quello che non perdona niente, e quello che perdona tutti tranne se stesso; c'è quello che scappa per tutta la vita e quello che non riesce a tranciare le radici; quello che vuole morire da solo e quello che rimasto da solo vuole solo morire; c'è chi si riprende e chi no... ma tutti, indistintamente, conoscono il dolore e sentono addosso il peso del periodo storico in cui si ritrovano a vivere. Così come gli anni dello straordinario, camaleontico e tormentato Novecento, anche le persone cambiano, evolvono, tornano sui propri passi per prendere la rincorsa, a volte saltano a volte cadono. Una grande metafora della Storia attraverso le storie intime: questo è ciò che per me dovrebbe essere il romanzo. Storie piccole, di gente normale se vogliamo, ma che parlano di un'epoca, di un Paese, di un'idea politica, di un disagio sociale; qualcosa che sfondi le pareti del proprio tinello e porti il vissuto fuori, nel mondo. E questo fa Giorgio Fontana, con una scrittura semplice, ma di grande effetto, tratteggiando personaggi e luoghi, creando empatia con essi e portando quindi noi lettori a empatizzare a nostra volta con loro e anche un pochino col nostro tartassato, particolarissimo Paese. Questa Italia che è stata capace di risollevarsi con la forza del proprio popolo ma che, chissà perché, non riesce a stare in piedi per lunghi periodi. Un po' come i bambini che si danno una grande spinta, si ergono felici e poi ricadono sul proprio sedere in attesa di avere di nuovo la forza per rialzarsi...

Penso che questo sia un libro che parla del tempo: quello che passa e quello che fa fatica a passare; quello che corre e quello che stagna; quello che rafforza e quello che erode; quello che si aspetta e quello che si rimpiange. E parla della forza dell'essere umano davanti al dolore, così piena e potente durante i periodi di terrore e orrore e così fragile e altalenante nei periodi di apparente benessere. Perché diciamocelo, quando leggiamo le vicende di Maurizio e poi di Renzo e Gabriele, durante la guerra, il fascismo; quando leggiamo di ragazzi che restavano soli da un giorno all'altro per le deportazioni di intere famiglie e che erano costretti a vivere mesi in buchi senz'aria con la paura di morire ogni minuto – ma come facciamo a provare empatia per chi ai giorni nostri si lamenta perché non può uscire di casa per motivi banali o perché non può fare le gite... eppure, ognuno è figlio del suo tempo, delle sue disgrazie ed è normale dire: «All'epoca era così, ora non più. Ho i miei problemi anche se non sono sotto le bombe». È legittimo, umano, e giusto. I personaggi dell'ultima parte del libro hanno problemi soprattutto esistenziali, l'anaffettività, gli attacchi di panico, la paura di non riuscire a mantenere una famiglia. Dario, per esempio, crede nei fumetti – non nella rivoluzione comunista, non in Dio, nei poteri sovrannaturali degli eroi dei fumetti che rendono i personaggi unici. È la conseguenza dei dolori e delle angherie di questi anni. E, ripeto, è legittimo. Forse però bisognerebbe un po' ridimensionarsi leggendo la Storia e avendo un po' di empatia almeno nei confronti del nostro passato e da esso imparare che il mondo va avanti lo stesso, sbattendosene delle nostre paure e delle nostre paranoie e che, forse, la costruzione del futuro passa da tutti noi e dal modo che abbiamo di vederci come insieme. E anche nel tirarsi un po' fuori dal vittimismo, va.

Ma noi dalle botte e dal freddo abbiamo tirato in piedi due famiglie. Non ci siamo persi via: quel che c'era da fare l'abbiamo fatto.

Questa è la riflessione che mi lascia questo libro. Al di là della vicenda della famiglia Sartori e delle sue morti. Certo è doloroso assistere alla morte di personaggi a cui ci siamo legati, ma questo fa parte della vita di tutti, della vita del mondo, del ciclo imperituro. E quel che resta è il frutto di ciò che siamo stati. Sembra banale e infatti lo è: ma è ciò che fa inanellare all'essere umano un giorno dopo l'altro e che porta avanti questo tartassato e strano mondo che viviamo tutti.

In quei tempi miseri non c'era di meglio da fare: restare immobili come animali colpiti da un fascio di luce nel buio: custodire uno spazio, prendersene cura e sperare che tutto andasse per il meglio.

È un libro sulla nostalgia. A volte a me prende così: un'incredibile nostalgia per un passato che in realtà non ho vissuto, come se avessi dei ricordi trasmessi dal Dna, dalla militanza dei miei genitori, dalle lotte studentesche e operaie, come se volessi disperatamente tornare a quegli anni per poterli vivere. 

Chiudo con una frase di Letizia, una delle ultime Sartori, perché credo che segni un punto di svolta e riassuma un po' il percorso di questa normalissima famiglia che però si porta dietro l'eccezionalità dei tempi che ha vissuto:

E ora [...] si rese conto che a differenza dei suo parenti, lei voleva essere felice.Non voleva né l'anarchia né l'oblio né il piacere né la salvezza divina né il sapere né la poesia né la rivoluzione: voleva soltanto essere felice. Una necessità misera rispetto ai dolorosi sogni dei Sartori, e forse un poco vile; ma perché mentire? Voleva essere felice e comportarsi bene con gli altri abitanti del pianeta. Nient'altro.

Questi sono i nostri tempi. Queste le nostre necessità primarie. In attesa di una nuova ondata di Storia che ci metterà davanti ad altri bisogni e ad altri sogni e chissà ci ribalterà di nuovo tutto il mondo. Forse sta già accadendo. Siamo sicuramente a un momento di svolta e, come per i Sartori, speriamo di trovare il succo del nostro essere e di imparare a comportarci bene con gli altri abitanti del pianeta. Se ne sente molto il bisogno, senza stare a tirare in ballo la guerra, che quella è un'altra storia.

La cosa anche che mi colpisce è il fatto che Fontana sia così giovane, che abbia scritto Prima di noi a trentanove anni (iniziando anche anni prima, vista la mole). È un libro che potrebbe essere tranquillamente stato scritto da un uomo anziano, per i dettagli storici, per come sa rendere un'atmosfera del passato che lui non ha vissuto, per come tratteggia personaggi che sono così lontani dalla nostra sensibilità contemporanea. Cosa rara in un uomo di 39 anni scrivere così. Complimenti davvero.

Influssi, rimandi, suggestioni: Fontana è scrittore colto e dissemina il libro di citazioni di canzoni e autori che servono a inquadrare e approfondire l'epoca di riferimento attraverso la cultura. Mi sono segnata libri e canzoni da leggere e riascoltare: Fuga senza fine di Joseph Roth; Delitto e castigo di Dostoevskij; le poesie dello storico-filosofo-poeta Izet Sarajlić. E poi la musica, che ascoltiamo insieme a Diana: Janis Joplin, Ma mi (nella versione Strehler-Milva, per motivi personali e nostalgici e per omaggio), Io che amo solo te di Sergio Endrigo (che è intimamente legata alla mia vita, tra l'altro). Vorrei poi consigliare la lettura di Dita di dama di Chiara Ingrao, che non è citato da Fontana, ma che penso sia un libro fondamentale per approfondire il periodo delle lotte operaie femminili che portarono allo Statuto dei Lavoratori. Un libro fondamentale e bellissimo, che è diventato anche un monologo teatrale di e con Laura Pozone. E poi vi lascio con una litografia che viene citata e che mi ha molto colpita, L'occhio mongolfiera di Odilon Redon:


Vorrei segnalare anche il blog di Giorgio Fontana, molto interessante. 

Prima di noi, di Giorgio Fontana, Sellerio, 2020, 882 pagine. Alla fine una nota dell'autore racconta delle sue fonti, dei rimandi autobiografici e dello spirito con cui ha scritto il libro.

Il gatto nella foto: questi piccoli multipli d'arte seguono i percorsi immaginati dall'autrice, Antonella Cicalò, ma possono interpretare anche il flusso dei pensieri del committente che darà così lo spunto per realizzare il suo personale “gatto maestro”, unico e irripetibile. Questi collages sono realizzati con frammenti di riviste letterarie e da collezione, stagnola, legno da recupero e componenti industriali del pet food. Ogni pezzo è unico. Per visitare il suo sito, qui !

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