Non so come affrontarlo il commento a quest'ultimo romanzo di Nino Haratischwili, La luce che manca. È un libro che travolge, forse più ancora del primo dell'autrice, L'ottava vita (per Brilka) che trovai un capolavoro. Quello che ho sempre detto sulle opere seconde degli autori di esordi eccezionali non vale per la Haratischwili, che in questo secondo romanzo, forse più intimista, più concentrato sulle persone, lei matura, approfondisce (sembra incredibile, ma è così), scava ancora più a fondo nelle vite e nei pensieri dei protagonisti.
Questa città è ancora mia? Posso ancora chiamarla mia dopo che mi sono persa così tante fioriture di lillà? Quand'è che una cosa cessa di essere nostra? Dov'è il confine oltre il quale il familiare diventa estraneo? Può diventarci estranea la nostra stessa infanzia?
I personaggi sono tanti, diversi, tutti coerenti nel proprio percorso, tutti soggetti a cambiamenti fondamentali, dalle quattro protagoniste ai personaggi "di contorno", che di contorno poi non sono, ma sono veri e propri motori dell'azione. La Storia, quella con la S maiuscola: quella della Georgia degli anni Novanta; che chiede l'indipendenza dall'Unione Sovietica; è quella di un Paese dilaniato da una guerra civile orribile, da una lacerazione dolorosissima e dalla crescita di una malavita organizzata che pone le basi a una mafia dell'Est che diventerà sempre più sporca e violenta. Vorrei ricordare Il padrino, che attraverso le vicende della famiglia Corleone, racconta come droga e prostituzione crearono un'irreparabile rottura all'interno della mafia “tradizionale” in America: la scelta di inserire questi due devastanti fattori, cambiò tutto, ma la violenza, gattopardianamente, restò la stessa, tremenda.
Anche qui, seguiamo la storia di quattro famiglie, legate da grandi amori e, proporzionalmente, da terribili odi. Cuore di queste famiglie sono le quattro, indiscusse, protagoniste del romanzo, che si ritrovano a una mostra di fotografia dopo anni di lontananza e silenzio: Dina Pirveli, la fotografa della mostra, focosa, bella, coraggiosa, incrollabilmente legata al presente, sempre in lotta con il passato, che non riuscirà mai a scrollarsi di dosso; Ira Jordania, forse la più intelligente e per questo un po' bullizzata, razionale, omosessuale; Nene Koridze, disarmante, figlia, nipote e sorella di boss della mafia locale, alla ricerca perenne dell'amore, perennemente insoddisfatta ma convinta della propria fittizia felicità; e poi Qeto Kipiani, voce in prima persona del romanzo, l'ago della bilancia del gruppo, quella che mette pace, quella che sa sempre cosa fare, quella che cerca continuamente e trova sempre quello che non vorrebbe trovare.
Qui il legame più importante è quello fraterno. Le ragazze sono tutte e quattro vittime (e carnefici) di fratelli che amano alla follia, ma di cui contemporaneamente, rifiutano il sangue; che vorrebbero rinnegare, ma che non possono abbandonare, mai. Qeto è “schiava d'amore” di Rati, passionale e fragile come vetro; Nene lo è di Guga - bambinone inconcludente e frignone - e di Zotne, violento, istintivo, cattivo a suo modo, sottile come carta. Nessuno farà una bella fine. Perlomeno, nessuno otterrà quello che voleva. Film preferito dei ragazzi: C'era una volta in America... Ecco...
E poi c'è l'amore: quello totalizzante, assoluto, crudele, dolcissimo, esigente, carnale, insoddisfatto, negato, ricorso, disprezzato, calunniato, sopravvalutato, sottovalutato, anelato, rimosso, rifiutato... ma totale, completo, impossibile da evitare. Impossibile e basta.
Mentre diceva cose senza senso, io immaginavo come avremmo potuto amarci in un universo parallelo, che coppia avremmo potuto essere. Una coppia che pianifica un futuro insieme, una coppia spaventosamente normale con una vita spaventosamente noiosa. Ma non saremmo continuamente in fuga dalla morte e non avremmo crateri nel cuore. E di notte faremmo l'amore con dedizione e tenerezza, in un piccolo, confortevole appartamento che abbiamo arredato insieme, come fanno le persone civili nei paesi civili, non dovremmo farci del male a vicenda per sentire qualcosa, o abusare del corpo dell'altro per dimenticare qualcosa. In quell'universo parallelo avremmo potuto essere versioni migliori di noi stessi e molto ci sarebbe stato risparmiato.
È un libro dolorosissimo, sia per le vicende private dei personaggi, sia per la grande protagonista, la Storia, che farà del male a tutti senza ricevere nulla in cambio, se non un Paese sempre più sul ciglio del baratro e con i suoi abitanti a guardare giù. Molti cadranno, molti riusciranno a tirarsi indietro, ma non per molto: la potenza magnetica del burrone li rispinge sempre a sdraiarsi vicino al bordo... e rotolare oltre...
Mi ha ricordato L'amica geniale di Elena Ferrante, se non per i temi, sicuramente per il carattere delle protagoniste: amicizie disperatamente indistruttibili, anche quando servirebbe la cesura; donne forti, ma che non sanno riconoscere la propria energia, o che non la sanno incanalare e si lasciano vivere facendo spesso scelte sbagliate, sempre in nome dell'amore. Tutte e quattro hanno lati del carattere sia di Lila che di Lenù.
La scrittura è meravigliosa: precisa, ricca, capace di passare da un tempo all'altro con una fluidità pazzesca. Sembra di vederle queste figurine che si agitano in preda alle passioni, alla fame di libertà e di vendetta, alla ricerca disperata di una felicità che fa sempre un passettino più in là, mettendosi al sicuro, diventando inaccessibile; tutte in controluce sulla silhouette di una città - Tbilisi - devastata e triste.
La luce, appunto, La luce che manca, che è il titolo di una foto di Dina, Perché Tbilisi è soggetta a continui blackout a causa della guerriglia? O perché la luce interiore continua a venire spenta da coloro che ci sono intorno?
Il diritto ad avere abbastanza luce dovrebbe essere garantito a chiunque!
Già, Qeto, vai a dirlo alla Storia. Quella se ne frega di te, della tua felicità e della tua luce. Se ne frega dell'amore e se ne frega del genere umano. Vivi, e cerca di dimenticare. Chi ci riuscirà? Chi?
... non ho fatto una scelta, ho solo imparato una lezione che non dimenticherò: la vita se ne frega delle nostre scelte, le promesse sono ridicole perché l'unica certezza è l'assoluta incertezza di ciò che ci aspetta.
Note a margine: Solo una considerazione, perché questo libro apre a riflessioni troppo “grandi” per contenerle in un post. Negli anni Novanta noi eleggemmo Berlusconi, ricordate? 1994. Venivamo dagli psichedelici anni Ottanta; poi fu Mani Pulite; poi fu... il Berlu. Dopo Mani Pulite. Berlusconi. Avevamo il miraggio della celebrità ottenuta col niente, del farsi da sé, delle cosce delle veline e del denaro sporco ripulito con una passata di cerone. Eravamo marci, ma non lo sapevamo. Non ancora. Forse neanche adesso. E mentre noi ballavamo al ritmo di discoteche in spiaggia e coscienza messa a riposo, c'erano Paesi che affrontavano scissioni dolorosissime, conflitti intestini devastanti, mancanza di cibo e luce, mancanza di futuro... sarebbe bene ogni tanto lanciare un pensiero e ridimensionare un po' questi tempo fatti di lotte per lo Spritz e vestiti a basso costo che intasano i fiumi dell'Asia... E riflettere anche su un presente molto presente, su una cesura nella cesura... sul nostro Paese - sull'Occidente - e sugli altri...
E vorrei chiudere con una citazione che sento particolarmente adatta in questo senso:
Quel mondo chiaro mi spaventava quanto quello che mi era familiare. Non lo conoscevo, non conoscevo nessun regime pacifico, non conoscevo le regole di una conversazione colta, non conoscevo i ristoranti di lusso con i cibi raffinati. Erano fiabe che avevo imparato dai film e dai libri quelle in cui le persone venivano trattate con rispetto, passeggiavano a piedi nudi in parchi verdeggianti, andavano a trovare i genitori solo nei giorni di festa, passavano le vacanze in Paesi soleggiati, guidavano belle macchine con l'alberello magico appeso allo specchietto retrovisore, ricordavano i luoghi attaccando magneti al frigorifero [...]. Erano fiabe di un mondo in cui i giovani potevano restare giovani a lungo e potevano permettersi il lusso di cercarsi e trovarsi.
Musica: le sinfonie di Smetana, una scoperta struggente e meravigliosa (anche se è la pubblicità della Valsoia, ebbene sì).
La luce che manca, di Nino Haratischwili, Marsilio, 2023 (2022), 696 pagine. Traduzione: Fabio Cremonesi