Diciamolo: dopo Il crogiuolo di Arthur Miller è dura scrivere storie di streghe. Il gruppo di donne tacciate di stregoneria che vengono giustiziate innocenti da una banda di bigotti, inquisitori vari, oggi considerati simboli del patriarcato, tendenzialmente dei vigliacchi ignoranti che non sapevano come gestire il proprio potere se non mostrando i muscoli al patibolo, è storia abbastanza trita e ritrita e la figura della “strega” grande archetipo della letteratura e del teatro - da Shakespeare a Goethe, a Miller appunto, a Updike, a King... Affascinanti, perseguitate, libere, potenti: personaggi fantastici, le streghe.
Detto questo con questo Le streghe di Manningtree siamo un po' nel campo del “già visto mille volte” per un verso e del “che peccato che A.K. Blakemore non abbia sviluppato questa parte” dall'altro. Perché mentre la storia è veramente già stata raccontata molte volte, c'è un aspetto che poteva essere veramente contemporaneo e che viene un po' buttato via.
Strega è l'offesa che affibbiano a chiunque faccia succedere le cose, a chiunque porti avanti la storia.
Ma andiamo con ordine. A Manningtree, una Salem britannica nell'Essex, un gruppo di donne viene considerato cricca di streghe dal solito gruppo di omuncoli complessati, capitanato da Matthew Hopkins e John Stearne – figure storiche operanti in Anglia dal 1644 al 1647. A seguito della morte di un ragazzino a loro imputata vengono catturate, tenute segregate per più di un anno, processate, condannate, giustiziate per impiccagione con folla esultante di popolino gonzo che pensa di essersi liberato dal Maligno. Solito, insomma. Ma una figura spicca tra le altre, quella di Rebecca West che avrà un destino diverso... E quando “inizia” la seconda parte del romanzo, allora sì, diventa interessante, ma ahimè dura poco.
Perché molte pagine vengono spese per la parte meno originale e più banalotta e così poche invece per il rapporto Rebecca/Inquisitore, così ricco di spunti, di risvolti psicologici, di contemporaneità? È un vero peccato. Il rapporto vittima/carnefice, che pure non è certo nuovo alla letteratura, qui avrebbe potuto essere davvero interessante, davvero utile per affrontare il tema del vile patriarcato davanti all'intelligenza femminile, ancorché umile e sottomessa suo malgrado. Perché, diciamolo, parlare di streghe e Inquisizione vuol sempre dire parlare di patriarcato e di paura del femminile. Penso che questo sia pacifico. E i modi per farlo con l'intreccio di Le streghe di Manningtree erano davvero mille e serviti su un piatto d'argento. Purtroppo però l'autrice ha preferito sviluppare altre parti, a mio parere molto meno innovative e ricche. Un vero peccato.
Sono tempi strani. Molto di ciò che sembrava sarebbe durato per sempre adesso si scioglie sotto di noi, riscaldato dal fuoco che arde nel cuore degli uomini. La nostra non sarà come la vita di chi ci ha preceduto. Di questo sono assolutamente certa. Vivendo vedrai che ho ragione. Denti e unghie, Beck. È tutto quello ciò di cui abbiamo bisogno.
Tutto sommato un romanzo che si legge senza infamia e senza lode, senza provare una vera e propria indignazione. Un romanzo che si legge e si dimentica in fretta, secondo me. Indubbiamente Rebecca è un personaggio molto intrigante, peccato che Blakemore ce la fa conoscere poco...
PS devo fare un appunto sulla copertina: veramente, non c'entra nulla. Non aspettatevi un libro sereno e un po' confettoso con i fiorellini. È bello scuro invece, sanguinoso a tratti, cattivo se vogliamo.
Le streghe di Manningtree, di A.K. Blakemore, Fazi, 2023 (2021), 326 pagine. Traduzione di Velia Februari. Interessante la postfazione, dalla quale si deduce la potenzialità mancata del libro...