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La pietra di Luna, di Wilkie Collins

Ma quanto mi ha divertita questo libro di Wilkie Collins? Tantissimo. Una storia movimentata, a tratti quasi picaresca; un diamante gigantesco che scompare, indiani sulle sue tracce, una storia d'amore contrastata, cameriere dai torbidi passati. Il tutto scritto con un linguaggio brillante, ritmato, per niente "datato". Un romanzo vittoriano che sfida in azione i migliori Crichton. Non so se sia «probabilmente in miglior romanzo poliziesco mai scritto», come dichiara Chesterton, ma sicuramente è uno di quelli che si fa fatica a posare. 

Inghilterra, 1848-49. La pietra di Luna è un enorme diamante giallo, rubato alla statua della divinità indiana della Luna, durante fatti storici chiave nella storia dell'India Britannica. A seguito del furto, tre dignitari indiani furono incaricati, generazione dopo generazione, di cercare di recuperare il diamante, seguendolo in giro per il mondo. Il Prologo al romanzo è appassionante, ricco di storia, gustosissimo nelle sue curiosità. Collins si rifà alla storia di due pietre appartenenti a famiglie reali europee: al diamante Orlov, che orna lo scettro imperiale russo, e al famosissimo Koh-i-Noor, che la leggenda vuole portatore di sventura per chi lo possiede. Fatto sta che questa splendida pietra entra in possesso della protagonista di questa storia, Rachel Verinder, che lo indossa orgogliosa e bellissima alla festa dei suoi diciotto anni. A portarle la pietra e a chiederle di sposarlo, arriva Mr Franklin Blake, giovane di belle speranze di ritorno da una giovinezza vissuta in giro per l'Europa. Ma il diamante la notte stessa della festa viene rubato. Da chi? Questo il grande mistero. Ma il furto è anche il punto di partenza di storie personali che si trascinano per un anno, al termine del quale viene risolto il mistero e tutti i pezzi tornano al loro posto.

Una storiona, insomma, piena di colpi di scena, di esperimenti mirabolanti (ma basati su veri e solidi fatti scientifici, come da testimonianza di Collins stesso), di personaggi ambigui, d'amore e di commedie degli equivoci. Ma la particolarità veramente gustosa del romanzo è la sua struttura a staffetta, per così dire, o meglio, per come l'ho ribattezzata io. Nove racconti più un prologo e un epilogo; nove racconti per sette narratori: ogni racconto inizia dove finisce quello precedente e fornisce il punto di vista del personaggio narrante in prima persona i fatti in ordine cronologico. Il domestico, l'avvocato, l'ispettore, l'innamorato, la pettegola... parlano quasi tutti, tranne incredibilmente, la protagonista, la vittima del furto, la preda: Rachel, insomma, che rimane spettatrice al nostro pari del susseguirsi dei fatti che influiscono direttamente sulla sua vita. 

In alcuni miei romanzi precedenti, l'obiettivo era stato quello di svelare l'influenza delle circostanze sui personaggi. In questo racconto ho invertito il processo. E ho tentato di mostrare l'influenza dei personaggi sulle circostanze. Il comportamento di una ragazza in un'improvvisa situazione d'emergenza è la base sulla quale ho costruito questo libro.

Quanta modernità in queste parole di Collins tratte dalla Prefazione! E quanto divertimento! E quanta profondità di personaggi. Molti autori contemporanei hanno di che imparare. Leggerò altri suoi libri e mi è venuta una gran voglia di rileggere La fiera della vanità di Thackeray, altra pietra miliare di quel periodo.

La pietra di Luna, di Wilkie Collins, Fazi, 2016 (1868), 566 pagine. Traduzione di Martina Rinaldi


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