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Fabbricante di lacrime, di Erin Doom

Fabbricante di lacrime, Erin Doom


Ospito un commento di Antonella Cicalò Danioni. 

L'Italia legge poco ma scrive molto, ragion per cui quando si crea un fenomeno che fa coincidere le due azioni è sempre interessante guardarci dentro.
È il caso di Fabbricante di lacrime di Erin Doom, pseudonimo – si dice – di una giovane scrittrice italiana che ha utilizzato la piattaforma di social reading Wattpad diventando un fenomeno.
Materia prima ottima per puzza sotto il naso. E invece no: l'ho letto, mi sono chiesta se mi piaceva o no e ho concluso che sì, alla fine mi piaceva ed essendo ultrasettantenne il mio giudizio non è viziato da umori adolescenziali, anzi. Vaccinata, da Delly alla Sagan, posso esprimere un giudizio – credo – con una rispettabile cognizione di causa.

Per togliermi il pensiero, dico prima quello che non mi è piaciuto. È un po' troppo lungo; si sente l'ansia di ribadire i sentimenti, forse nella convinzione che più pagine dai al lettore più rispetti il tuo patto di scrittrice. Troppe dediche e citazioni non sempre originali. Ma imparerà. Secondo, gli aggettivi a volte assurdamente improbabili: «crudo» è usato a sproposito, l'eroe rimane «soppiantato», per la confusione tra «inerte» e «inerme», in compagnia di fior di articolisti. Gli esempi sono innumerevoli e sai che c'è? Alla fine diventa un modo (non esagererei con «stile») che non ostacola più di tanto la lettura. 
Detto ciò passiamo ai plus. C'è del coraggio: prima di tutto la bellezza di questo ragazzo, Rigel, che supera anche l'essere necessariamente un po' acerbo (è un adolescente); infatti, man mano diventa se possibile più bello. È un'estetica da anima manga giapponese, tutta bagliori, spigoli, nerezza e luci negli occhi. La bellezza di Rigel e l'insistenza di Nica su di essa sono parte integrante della loro relazione. Nica affermerà la sua incrollabile passione davanti a qualunque baratro morale (bello e dannato a volontà) o malattia (soffre palesemente, tra l'altro, di cefalea a grappolo) ma non accenna mai al fatto che se fosse basso, ciccione, brufoloso o ignorante come una capra lo amerebbe lo stesso. Ogni donna che ha amato un uomo molto bello, specie se inconsapevole di tanta grazia, può capire benissimo. Anche nel coma (ma non voglio spoilerare) abbiamo davanti un Guidarello Guidarelli (andate a vedere) seduttivo anche nel gelo del marmo.
Questo aspetto è sbandierato con gioia e di questi tempi non è scontato. Lo splendore di Nica è obiettivo, ma soprattutto negli occhi (purtroppo talvolta crudi) di lui. Ha doti di minuto animalismo, soccorre fiori e insetti, rallegra le mani con cerotti colorati mischiando dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande le gioie e il dolore.

Secondo punto, pur con una personalità a tuttotondo, il centro vitale di Nica è Rigel (per altro, è reciproco). Senza tante pippe alla «io ti salverò» messe a toppa del concetto che anche un paguro è più indipendente dalla conchiglia che io dal tuo letto, Nica trova il nocciolo nell'amare Rigel così come è; le scene che piattamente definiremmo «di sesso» la Doom le tratta soprattutto con la preoccupazione di far passare l'anima, oltre l'animale. Ci vuole un po' di predisposizione romantica, ma sul pubblico femminile funziona. Sul pubblico maschile terzo aspetto coraggioso, funziona un certo “bullismo alla rovescia” di Rigel, quell'idea di “bruto” che nasce dalla negazione e dalla paura di un possesso di cui si sente indegno.
Questa fraintesa fragilità maschile, che tanti danni probabilmente fa anche a donne intelligenti, qui è digerita con candore, un mare di parole e aggettivi incongrui, che però rendono commestibile la portata. Non è poco, non è poco per niente.
Da ultimo, i personaggi di contorno – Anna, Billie, Michi, Adeline –, tutti con un loro tratto, con vicende che completano il pas a deux dei protagonisti. Sono vicende ben chiare nella gioventù contemporanea, forse agevolate dalla comparsa dei primi cellulari evoluti ma senza tante tecnologie. Anche la collocazione geografica è incidentale, non c'è paesaggio, né costume particolare. Burocraticamente è una faccenda piuttosto neutra.

Ho voluto anticipare queste valutazioni perché non intendo soffermarmi sulla trama, ognuno la scoprirà da sé. Ma anche in questo c'è un piccolo sortilegio: tutto quello che accade è anticipabile in una manciata di pagine, nulla ci sorprende davvero, nemmeno il finale, che però è sobrio e dunque credibile. C'è fantasia nella scelta dei nomi e nella favola unisex del Fabbricante di lacrime, ma niente di più. Eppure si continua a leggere, come se si aspettasse una qualche rivelazione, e questo è di per sé una sorpresa di cui siamo coscienti. Un po' siamo cinici, un po' invidiamo, un po' siamo critici, un po' rosichiamo.

A me questo romanzo un po' Cime tempestose e un po' manga giapponese è piaciuto, senza snobismo, piuttosto sbracatamente. Ma alla mia età e con la mia formazione me lo posso permettere e ci ho goduto parecchio. Detto ciò è d'obbligo attendere l'autrice, chiunque sia, alla prossima prova; particolarmente ardua dopo un successo così. Ma ha arato un campo vasto e se son rose fioriranno. Alla prossima.

Fabbricante di lacrime, di Erin Doom, Magazzini Salani, 2021, 672 pagine.

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