«Esordio straordinario», «caso unico», «la voce della protagonista è unica». Questi alcuni dei panegirici cantati in quarta di copertina citati da The Guardian, The Sunday Times, The Daily Telegraph... Classifiche dominate in Inghilterra e negli Stati Uniti; diritti contesi che manco fossero le svendite di Penny; i commenti mirabolanti corrono di bocca in bocca decretando un successo planetario. Ora, la mia domanda, semplice e diretta è: ma veramente? Cioè, il libro è carino, scorre, si legge in fretta, è scritto bene, ci sono due o tre “colpi di scena”, anche se molto prevedibili, ma... straordinario? Protagonista unica? Mah, a me sembra veramente un'esagerazione senza senso. Mentre lo leggevo, ho trovato che fosse simile ad altri libri, che sono anzi molto più belli, secondo me: ho pensato a L'uomo che metteva in ordine il mondo e a Britt-Marie è stata qui di Fredrik Backman; a Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman; a Cambiare l'acqua ai fiori di Valérie Perrin... per citare solo quelli che mi vengono in mente, letti negli ultimi anni.
Una donna di settantotto anni, Missy (diminutivo di Millicent), abbruttita da una vita da “vedova”, con un figlio e un nipote in Australia e una figlia che non le parla più per una lite recente, un giorno incontra una signora (Sylvie) e una donna giovane con un bambino (Angela e Otis) che le offrono un caffè e la sua vita cambia nettamente, comincia a interessarsi delle altre persone, a uscire; capisce che ha ancora delle cose da dare e da fare; si trova un lavoro in biblioteca; si affeziona a Otis, e inizia a fargli da baby sitter; prende in “affido” un cane, anzi una cagnolina, (Bobby) che diventa un'amica inseparabile; si riappacifica con la figlia; difende una donna maltrattata dal marito; ristruttura casa. Contemporaneamente la Morrey ci racconta parte del suo passato: come ha incontrato suo marito, com'era il suo rapporto con i figli, come affrontava la quotidianità e come piano piano è rimasta sola, in una casa piena di ricordi polverosi. Quindi, il percorso dal buio della solitudine e dell'autocommiserazione a una vita piena di interessi e di amici. Perché avere un cane e persone con cui parlare, avere qualcosa da fare e qualcuno con cui farlo è meglio che stare sola in casa a mugugnare in attesa di affetti che restano le vacanze di Natale e via. E inoltre a fare del bene ci si fa del bene. Originalissimo, eh. Il finale rivela un piccolo colpo di scena e un happy ending telefonatissimo, ma molto commovente.
Missy è, come dicevo, una donna normale, un po' sciatta, enormemente innamorata del marito Leo fino a che questo non si è ammalato e l'ha abbandonata; ha una figlia (Melanie) che non ha mai particolarmente amato e un figlio (Alistair) che è la luce dei suoi occhi e che le ha dato un fantastico nipotino (Arthur), anche se è sposato con una donna (Emily) che Missy non sopporta perché l'ha trascinato a vivere lontano, in Australia. Ha, come tutti, segreti che la fanno vergognare e soffrire e colpe da espiare; ha avuto gioie e dolori e un amore felice ma complicato; ha avuto le corna ma le ha portate con pazienza... Originalissima pure lei, eh! Il personaggio è scritto bene - anche se ci sono alcune cose molto poco probabili, troppo spinte e a tratti anche ridicole - ma dire che è unica, ecco, anche no.
Cioè, non fraintendetemi, il libro c'è, la storia è carina, fa molto buoni sentimenti senza essere melensa. Ma da qui a considerarlo un fenomeno straordinario a livello planetario... vi prego, molto meno!
Lo consiglio a chi ha bisogno di serenità, di un romanzo che faccia passare ore piacevoli con parecchi e sorrisi e qualche lacrima, senza però aspettarsi il romanzo della vita, che Dostoevskij è morto e certo non verrà risuscitato da Missy Carmichael...
La seconda vita di Missy Carmichael, di Beth Morrey, Garzanti, 2020, 323 pagine. Traduzione di Stefano Beretta. Alla fine c'è una conversazione con l'autrice dove lei racconta come le è venuta l'idea, dove preferisce scrivere eccetera. Insomma, pure qui: le solite cose.