Ci sono dei personaggi con cui si entra in empatia subito, come se fossero degli amici che si è visti la sera prima in pizzeria e già un po' ti mancano. Questo l'effetto che ha avuto su di me Eleanor, questa donna/bambina di trent'anni che sembra venire da Marte e che invece abita una Glasgow molto contemporanea e ricca di eventi. Eventi che Eleanor non sa frequentare, non vuole frequentare; ha paura dei germi, di dire la cosa sbagliata, di fare brutta figura, della gente. Eleanor non sa parlare con le persone, non sa gestire i loro corpi vicino a lei, non capisce come si faccia a condividere tazze e bicchieri, o a sopportare abbracci da gente che magari ha un cattivo odore. Non sa come presentarsi a una festa informale o come rispondere alla mail di un amico. Non ha un amico, né un'amica. Non ha un animale domestico. Non invita a casa mai nessuno. Non sa cosa vuol dire avere un'altra persona nel proprio salotto o nel proprio bagno. Non sa iniziare una conversazione con un estraneo. Non sa come ridere alle battute, perché spesso non le capisce o non le riconosce come tali. Non si sa vestire, né truccare, né pettinare. È quello che potremmo definire: un disastro di donna. Una di quelle donne che non viene invitata agli aperitivi, o alle feste, o anche solo a un pomeriggio di chiacchiere dal parrucchiere, perché Eleanor non va dal parrucchiere e non chiacchiera.
Sembra solo un caso di patologica asocialità di una persona germofobica e un po' snob, che ha deciso di "elevarsi" da sola invece di condividere la normale vita quotidiana dei comuni mortali. Lei parla bene, mangia solo cose ricercate e costose, ha pochi vestiti ma di alta qualità. Un storia di ordinaria puzza sotto il naso, un po' misantropa. Ma man mano che il romanzo procede, la scrittura fresca e senza fronzoli della Honeyman ci introduce a un passato difficile, anzi ai limiti dell'umana sopportazione, fatto di famiglie affidatarie, grandi traumi (che non rivelo), grandi abbandoni, lavaggi del cervello e un grandissimo, enorme vuoto affettivo, che si trasforma in vuoto esistenziale con il passare del tempo. Il buco diventa voragine ed Eleanor nel momento in cui facciamo la sua conoscenza è appesa sull'orlo del burrone solo a un filo d'erba tremolante al vento. E la paura, la solitudine e la propensione all'alcool (è una gran bevitrice di vodka) sono le grandi forbici che stanno per tagliare il filo d'erba. Ma qualcosa, qualcuno, interviene, come spesso capita nella vita dell'essere umano quando le cose sembrano precipitare irreparabilmente. Un qualcosa, che potenzialmente è una tragedia diventa l'occasione per Eleanor di conoscere lati dei rapporti umani che non conosceva: l'aiuto a una persona in difficoltà e la ricompensa della gratitudine. Il tutto condito con le attenzioni di un tecnico dei computer gioviale e un po' trasandato, che Eleanor potrà presto considerare il primo amico della sua vita.
Una storia d'amore immaginaria e il cambio di look e di stile di vita seguiranno, con calma e piedi di piombo, ma quello che noi chiamiamo «normalità» comincia a insinuarsi nella vita di Eleanor. Feste, visite ad anziani premurosi, pranzi al pub, sedute dall'estetista... tutto ciò che è considerato normale per lei diventa una conquista e una scoperta continue, che tra momenti di tristezza e momenti buffi, la accompagnano verso un futuro diverso. Un futuro in cui le cose troveranno il loro posto, i sentimenti verranno chiariti, la vita comincerà a diventare una speranza di felicità. I buchi non verranno forse completamente colmati, ma accettati in quanto buchi e in parte anche rattoppati. Un amico, una persona che pensa a te, una gatta affettuosa, un collega che ti regala dei fiori. Eleanor Oliphant ci insegna che ciò che noi consideriamo quotidiano, può non esserlo. Forse anche un po' di Eleanor sarebbe bene vivesse in ognuno di noi: la sua cortesia estrema, la sua diffidenza nei confronti della maleducazione, la sua precisione nel trattare i sentimenti altrui e la sua forza incredibile che le ha sempre consentito di sopravvivere e crescere nonostante tutto, laddove altri avrebbero solo potuto soccombere. Il finale di questo libro è scontato, diciamolo; si capisce benissimo dove si va a parare, almeno da metà racconto. Un colpo di scena finale in realtà c'è, anche se non è una grande novità narrativa. Ma non ci importa, perché qui l'importante non è il cosa ma il come e soprattutto il chi.
Eleanor Oliphant sta benissimo è la storia di una mutazione da crisalide a farfalla vera e propria. Attraverso la scoperta degli altri, Eleanor scopre se stessa, come se dalla sublimazione della gentilezza che riceve riuscisse a produrre gentilezza verso di sé e, quindi, verso gli altri. Sembra tutto molto retorico e banalotto, ma la struttura narrativa che costruisce la Honeyman consente che non lo sia. La prima persona e la scrittura lineare, il vedere le cose e le persone con i suoi occhi un po' sgranati e un po' chiusi sul mondo, tutto questo fa sì che ci si senta subito attratte dalla vita e dalla mente strambe di Eleanor, che si entri in empatia con lei, che si tifi per lei e per la sua felicità. Io ho avuto voglia di abbracciarla dalla prima all'ultima pagina.
È un libro che ha scatenato reazioni molto diverse, probabilmente perché è molto personale; un libro che inevitabilmente irrompe nel vissuto delle persone, come tutti quelli che mettono a nudo l'anima del personaggio. Eleanor è amata o odiata; la sua storia provoca empatia o irritazione; la scrittura in prima persona avvicina o allontana da lei. Io sono una di quelle che l'ha amata e che ha sperato nel lieto fine, nella liberazione, nella catarsi. Un plauso alla costruzione del personaggio di Raymond, sempre affettuosissimo, ma mai melenso.
Insomma, per me Eleanor è quell'amica che se ci avessi preso una pizza ieri sera, mi mancherebbe già questa mattina.
Atmosfere, connessioni, influssi:
Una curiosità che vorrei condividere: ho letto Eleanor subito dopo Le regole della casa del sidro di John Irving e in entrambi i libri viene citato Jane Eyre di Charlotte Brönte. Ho trovato particolare e piacevole questa coincidenza letteraria e mi ha fatto venire voglia, ovviamente, di rileggere il grande classico ;-)
Early Morning, di Will Barnet, 1972. Un quadro che mi ricorda molto Eleanor |
Note a margine:
Stiamo vivendo tempi strani, in cui la socialità e il nostro modo di vivere lo spazio e gli altri sono cambiati molto. Ma spesso si tende a perdere di vista il fatto che c'è gente per cui la distanza sociale, il non partecipare agli eventi, la scarsa propensione al contatto umano, sia fisico che emotivo, sono la normalità. Definire la normalità è cosa troppo grande per delle note a margine. Mi limito a considerare il fatto che Eleanor è un personaggio molto reale, molto contemporaneo, vittima forse della performatività a cui tutti siamo chiamati, oltreché del suo vissuto. Ecco, forse comprendere lei ci aiuterebbe a comprendere meglio gli altri, e un po' anche noi stessi...
Eleanor Oliphant sta benissimo, di Gail Honeyman, edizioni Garzanti, 2017, 338 pagine.
Alla fine del libro, una piacevole intervista con l'autrice. Traduzione di Stefano Beretta