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Verso il paradiso, di Hanya Yanagihara

 


Difficile eguagliare un capolavoro come Una vita come tante. A maggior ragione superarlo. Riuscire a entrare tanto in un personaggio da renderlo così empatico e indimenticabile come Jude. Quindi questo Verso il paradiso, ultimo lavoro di Hanya Yanagihara, a mio parere, è un po' più debole (ancorché completamente diverso), un po' meno "completo" - letteralmente visto il finale molto aperto (forse un po' troppo...). Ma la scrittura è sempre bellissima, i personaggi affascinanti, la storia molto interessante e particolare. Faccio una brevissima parentesi sulla struttura del romanzo e sulla trama (visto che in Internet in mille siti e blog si trova la sinossi completa non mi dilungherò).

Il romanzo è diviso in tre libri, e la vicenda di ogni libro si svolge in un periodo diverso, ma con elementi ricorrenti di luogo e personaggi: Washington Square a New York e le Hawaii; i nomi dei personaggi che di volta in volta intrecciano relazioni diverse, ma hanno caratteristiche comuni. E temi ricorrenti: l'identità, la solitudine, il bisogno di integrazione e di essere riconosciuto dagli altri, la malattia, il disagio del mondo e quello individuale...

Ogni libro, però, si svolge in un periodo storico diverso, e con differenze distopiche rispetto alla nostra realtà.

Il primo è ambientato nel 1893 ed è una sorta di distopico del passato, in cui New York è una città degli Stati Liberi, in cui il matrimonio tra omosessuali, sia maschi che femmine e l'adozione di bambini non solo è legale, ma in certi ambienti, favorito. I bambini che vengono adottati sono "profughi" in larga parte provenienti dalle zone americane come le conosciamo noi, in cui gli omosessuali sono fuori legge e che sono state separate dagli Stati Liberi attraverso una sanguinosa guerra. 

Nel secondo libro, la scena si sposta nel 1993, gli anni dell'Aids e del carrierismo, e con l'uso del flashback ci troviamo anche nel 1959, anno dell'annessione delle Hawaii agli Stati Uniti, evento dalle ripercussioni politiche e sociali enormi.

Il terzo libro si sposta invece nel futuro, in un 2093 in cui New York è suddivisa in Zone numerate che ricordano i Distretti di Hunger Games - Washington Square è in Zona Otto, quella sicura e abitata dai lavoratori benestanti. Infuriano le pandemie e fonti energetiche e cibo sono razionate; le persone hanno tute refrigeranti e obbligo di mascherina. 

In questi scenari, così diversi ma non troppo (non è poi la Storia ciclica?) si muovono le vicende di personaggi, come dicevo, ricorrenti (che si scoprirà anche, in certi casi, collegate da parentele che si perdono nel passato): David, Charles, Peter, Edward, Adam, Eden, Nathaniel, Aubrey... Tutti agiscono la Storia con una particolarità, con un carattere deciso e preciso; ognuno di loro è nonno, nipote, figlio, figlia, marito, moglie, sano, malato, ricco, povero, intraprendente, apatico, schivo, esuberante, coraggioso, pavido... Ma tutti hanno in comune due tratti fondamentali: il bisogno di appartenenza e quello di amare e di essere amati. 

Penso che Verso il paradiso sia un libro sull'appartenenza, sul bisogno di riconoscere le proprie radici. Sicuramente la provenienza dell'autrice si fa sentire: la Yanagihara è infatti nata a New York, ma ha origini hawaiane da parte di padre e coreane da parte di madre. Quello dei luoghi è un tema fondamentale in questo romanzo, in tutte le epoche: la dicotomia Stati Liberi/America, America/Hawaii; Zona Otto/Altre zone/reato del mondo... In ognuno dei tre libri le dicotomie sono fondamentali, sono il motore dell'azione interiore dei personaggi, sono quello che spinge ognuno di loro a fare ciò che fa, a vivere come vive, a pensare i propri pensieri. Ma non solo: si parla anche di appartenenza a un ceto, o a una certa mentalità. È come se ognuno di loro volesse essere qualcos'altro, ma nel contempo, volesse essere riconosciuto e amato per come è, per come è nato, per come all'origine è stato concepito dai propri genitori e dal proprio paese, come se una cosa escludesse l'altra, come se per giungere al Paradiso si dovesse necessariamente rinunciare a qualcosa. 

E però certe volte, in quelle notti d'estate, pensò di sapere esattamente cosa voleva. Voleva vivere in un posto che stava a metà tra dove stava - in un letto con costose lenzuola di cotone accanto all'uomo che aveva cominciato ad amare - e per la strada, costeggiando il parco, lanciano gridolini e aggrappandosi alle braccia degli amici (...) sbronzo e scatenato e senza speranza, a bruciare via la vita, senza nessuno a sognare un futuro per lui, nemmeno se stesso.

Ognuno di loro cambia a un certo punto, viene spinto a essere altro e tutta la vita è un equilibrio tra ciò che era e ciò che è: nel 1893 David è un uomo-bambino accudito dal nonno che ama, ma da cui vuole sganciarsi per vivere una vita diversa, sua; nel 1993, invece, è un hawaiano un po' spiantato che si innamora di un ricco ed elegante americano malato di Aids che ama, ma a cui si vergogna di rivelare le sue origini, figlio di un padre che avrebbe dovuto diventare re, ma che l'annessione agli Stati Uniti ha trasformato in un pazzo alienato convinto di voler vivere in un paradiso che non c'è; nel 2093 Charlie è una giovane ragazza che ha perso parte del suo cervello durante una delle orribili pandemie che invadono a ondate il paese e ha sposato un uomo gay che le vuole bene, ma che sarà sempre lontano emotivamente da lei... e che fare allora? Cambiare tutto, in un altro luogo?

Un altro tema importante è quello della dipendenza psicologica da qualcuno che sappiamo (o forse no) che ci farà del male. Come a dire che ci sono cose - il bisogno di essere qualcuno, e qualcuno per qualcuno, il bisogno di avere un posto proprio che si può chiamare casa, il bisogno di essere amati per se stessi... E queste cose non hanno tempo, non hanno luogo, hanno solo corpi da occupare ed esistenze da vivere... 

E poi, ultimo ma non per importanza, l'orgoglio di appartenere a un popolo (in questo caso quello hawaiano) che trasuda da ogni pagina, con la potenza di un sogno di indipendenza stroncato nella geo-politica, ma non nel proprio essere. L'appartenenza di un popolo alla propria terra e la terra al proprio popolo. Concetto che noi europei occidentali abbiamo un po' dimenticato, ma che resta vitale in altre parti del mondo, soprattutto in quelle che più hanno rischiato di perdere la propria identità, strappata via per ragioni economiche e politiche. Tutto questo, anche se non direttamente narrato, trasuda da ogni pagina, da ogni riga, da ogni dialogo, in tutte le epoche.

Siamo ospiti in questo Paese.

Devo dire che ho trovato tutto un po' involuto. I finali aperti sono un po' fastidiosi, nella misura in cui ci si affeziona ai personaggi e alle loro vicende, perlopiù sfortunate. Ma si legge, e molto bene, perché lei scrive benissimo, perché lo scavo nell'umano è sempre molto "giusto", appassionante, commovente... E perché ci si ritrova un po' di se stessi i queste anime perse in cerca del Paradiso... che per ognuno è diverso: è un luogo, un sentimento, una persona, uno stato d'animo... 

L'ultima parte è quella che mi è piaciuta di più; così tragicamente verosimile; così agghiacciante da leggere ora nell'epoca (post?) Covid; così contemporaneo. Forse dobbiamo parlare del futuro per analizzare questo strano presente. Gli scrittori hanno anche questo compito e se sono davvero bravi, riescono a farlo:

La malattia (...) ha rivelato che il progresso, la tolleranza, non generano per forza progresso e tolleranza. Ha rivelato che la gentilezza non genera gentilezza. Ha rivelato quanto è fragile la poesia delle nostre vite: ha smascherato l'amicizia, ne ha mostrato la natura effimera e condizionata; ha smascherato i rapporti d'amore, li ha rivelati contestuali e circostanziati. Nessuna legge, né accordo, né quantità d'amore si sono dimostrati più forti del nostro bisogno di sopravvivere o, per i più generosi di noi, del nostro bisogno che ci sopravvivesse chi ci era caro, chiunque fosse.

Possiamo dire che la Yanagihara è un po' un Houellebecq ottimista? Non so, lascio aperta la riflessione...

Verso il paradiso, di Hanya Yanagihara, Feltrinelli, 2022, 764 pagine. Traduzione di Francesco Pacifico.

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