Ho letto solo quattro romanzi della prolifica (per fortuna) Joyce Carol Oates, e devo ammettere che questo La figlia dello straniero per ora è quello che mi ha convinta meno. La scrittura è sempre notevolissima; amo la crudezza e la straordinaria potenza con cui disegna i suoi personaggi e gli ambienti in cui agiscono; amo le descrizioni dell'America provinciale e gretta che tratteggia sempre. E amo il modo che ha di raccontare storie tremende, senza nascondere niente del tremendo vissuto che agita gli animi e le vite dei suoi protagonisti. Tutto questo la rende indubbiamente una delle scrittrici più interessanti del panorama letterario mondiale. Ma in questo caso specifico, ho trovato il romanzo un po' prolisso. Grande certo, ma prolisso.
Nel regno animale i deboli soccombono presto. Quindi non possiamo mostrare la nostra debolezza, Rebecca. Non possiamo permettercelo.
La figlia dello straniero è Rebecca Schwartz (Schwart in America), nata su una nave appena attraccata al porto di New York da una famiglia in fuga dalla Germania nazista composta da Anna, la madre, Jacob, il padre e due fratelli, Herschel e Gus. Mentre in Germania Jacob era uno stimato professore, colto e raffinato, in America si trova a fare il becchino e ad abitare nella casa del custode del cimitero, angusta e puzzolente, costretto a leccare i piedi ai superiori che lo trattano come un essere inferiore e a vivere della benevolenza untuosa e beffarda dell'Amministrazione di Milburn, minuscola cittadina dello Stato di New York.
Becchino! Mangiapatate! Nazista! Ebreo!
La situazione lo rende cattivo, violento e la sua parabola verso l'orrore spinge i figli maschi a scappare di casa, uno dopo l'altro. Solo Rebecca resta ad assistere alla consunzione morale e fisica della famiglia: Jacob, sempre più ubriaco, vittima della vergogna e della pietà verso se stesso, ormai in preda a manie di persecuzione sempre più allucinanti; Anna ormai pazza, vittima non solo del marito, ma anche della sua mente schiacciata dal Paese straniero, di cui non riesce a imparare la lingue e che non può chiamare casa, in cui vede solo nemici che la giudicano, la dileggiano e la disprezzano. A un certo punto sembra che debba arrivare una famiglia di parenti a vivere con loro, tra cui una ragazzina, Freyda, che Rebecca comincia a considerare come una sorella con cui condividere la stanza, i giochi, la crescita. Anna sembra rinascere per la possibilità di parlare la propria lingua e di tornare a sentirsi, almeno un po', tra la sua gente. Ma non arriveranno mai: viene riferito agli Schwart che sono stati rispediti in Germania a morire. Lì finisce definitivamente la speranza e inizia l'abbrutimento irreversibile.
La nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo (Hegel).
Rebecca è sempre stata considerata la figlia "diversa", poco amata dal padre, poco considerata dalla madre, come se l'essere nata in America e non in Germania la rendesse un'appendice estranea al resto della famiglia, tanto che viene quasi vissuta come una nemica:
Tu sei una di loro. Sei nata qui.
Questo sentirsi estranea ai genitori la rende estranea a se stessa, sempre in cerca di un luogo dove stare e a cui appartenere; una condizione ancora peggiore di quella di Anna e Jacob, che hanno almeno la Germania da chiamare casa, per quanto ostile e dove sanno che non torneranno più, anche se Jacob continua a parlare dell'America come patria provvisoria. Ma entrambi i genitori fanno una brutta fine (e non svelo altro, anche se si capisce cosa succederà già dal primo capitolo). Rimasta sola e ancora più sperduta Rebecca trova la propria casa tra le braccia di un libertino con una vita poco limpida e delinquenziale, Niles Tignor, che la porta in giro per alberghi del paese con la scusa dei suoi "affari" - sempre sradicata, alla fine - e che poi la riporta al punto di partenza, sistemandola in una casetta fatiscente a Chautauqua Falls nello Stato di New York, col figlio Niley. Rebecca adora Tignor: è solido, grande, la desidera in modo disperato e ha giurato di proteggerla da tutto. Da tutto, tranne che da lui. A seguito di eventi traumatici, Rebecca scappa col figlio e cambia identità, fatalmente: diventa Hazel Jones, una semplice cittadina americana in cerca di sistemazione con il figlio Zacharias, geniale pianista in erba. La sua bellezza, la sua personalità e la sua intelligenza la portano avanti fino a incontrare il suo futuro, Chet Gallagher, che la ama, ama il figlio e darà a entrambi una casa, la stabilità e la carriera pianistica per Zach. In Chet, che conosce solo Hazel e non sa niente di Rebecca, Zach trova un padre e un amico e Rebecca trova una casa, una posizione, la stabilità che ha sempre cercato, ma non l'amore. Quello è rimasto in una casa fatiscente a Chautauqua Falls, nelle mani di un bruto di cui avrà per sempre il terrore, ma che resterà l'unica passione della sua vita. Ma che fa? È il proprio posto nel mondo l'unica cosa importante e Hazel lo troverà lontano dalla sua patria, lontano dalla sua famiglia, lontano da se stessa e allontanandosi da tutto, in un certo modo, torna a casa. La parte finale, in cui intraprende una corrispondenza con la cugina Freyda che crede morta, e che invece è diventata una famosa scrittrice con la sua autobiografia, è la parte più bella del romanzo: Hazel parlando con lei, raccontando la se stessa ragazzina, rivive l'emozione di essere Rebecca, cerca conforto, cerca una sua simile che possa condividere con lei l'esistenza, negata per tanti anni (Chet non saprà mai niente del suo passato). Trova un muro, ma la sua caparbietà la porterà a scalfirlo e a trovare una complice, che con lei ha in comune le radici, la cosa più importante, quello che ci ancora alla nostra stessa esistenza.
(Il nome Hazel ha un'origine che non svelo perché rappresenta un piccolo mistero che si scopre alla fine, che non è fondamentale, ma è gustoso: una delle piccole perle di cui la Oates dissemina sempre i suoi lavori).
Il romanzo parla di appartenenza e di sradicamento e ci dice che senza radici possiamo trovare la serenità, se siamo forti e caparbi, ma se neghiamo noi stessi la felicità, quella vera, ci sarà sempre preclusa.
Il libro è bello, come sempre. Tocca con potenza e levità temi importanti, universali, fortissimi. L'ho solo trovato un po' prolisso in certi punti, specialmente nella parte centrale, in cui Rebecca "diventa" Hazel e nella parte finale in cui vive con Gallagher. Piccolezze, che non vanno certo a scalfire il piacere della lettura, ma che me l'hanno reso meno appassionante degli altri, pur andando più a fondo in certe tematiche (che da alcune interviste ho scoperto essere autobiografiche). Da leggere, sicuramente, prendendosi un po' di tempo per entrare a pieno nella vicenda.
Note a margine: Il razzismo, la paura del diverso, il ridicolizzare che nasconde il timore: sono tutti temi molto contemporanei che esistono da sempre. Ricordiamocene quando dipingiamo l'America come meta-miraggio, come miracolo di accoglienza. I nostri Padri lo sanno: non è tutto oro quello che luccica... E lo dicono gli americani stessi, quando analizzano la propria società. Così, solo una piccola notazione polemica ;-) La letteratura serve a questo, no? A scardinare l'ovvio e a spostare il punto di vista...
La figlia dello straniero, di Joyce Carol Oates, La Nave di Teseo, 2020 (prima edizione 2007), 782 pagine. Traduzione di Giuseppe Costigliola. Un plauso speciale a La Nave di Teseo, che sta ristampando i libri della Oates, facendo un regalo a tutti.