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Nostalgia, di Eshkol Nevo

Nostalgia, di Eshkol Nevo

Nostalgia, che bellissima parola. Evoca periodi felici, luoghi belli, sapori dolci e odore di pulito. Evoca protezione, cura, sorrisi, respiri, cieli azzurri e acque placide. Evoca giocattoli a Natale, tricicli rossi, la piazza San Marco di Venezia piena di piccioni e di acqua alta, corse in campagna con le ginocchia sbucciate; evoca chiavi in serrature nuove e divani sfondati dagli amici; evoca cene a lume di candela e gatti accoccolati in fondo al letto; evoca tepore e vapore di tè alla vaniglia... Ed evoca un luogo sicuro. Penso che un luogo sicuro è ingrediente necessario a una buona nostalgia. Possiamo avere nostalgia di un luogo o di un periodo in cui cadevano le bombe, per esempio, o in cui c'erano fame e freddo? Boh, forse sì se nonostante tutto eravamo felici. Ma non immagino di avere nostalgia di un qualcosa che in un modo o nell'altro mi facesse sentire esposta corpo o mente a qualcosa di pericoloso... 

Comunque, al di là dei miei viaggi mentali, penso che la nostalgia sia un sentimento tanto forte quanto comune per famiglie che hanno subito allontanamenti forzati dai propri luoghi di origine. Con la proclamazione dello Stato di Israele nel 1948, infatti, sono cominciati i conflitti arabo-israeliani con tutto il carico di dolore e morte che conosciamo tuttora (anche se naturalmente le radici del conflitto sono ben più lontane nel passato e, ahimè, penso anche nel futuro). Ma senza addentrarci in questioni storiche molto, molto complesse, mi limito a notare che spesso negli scrittori israeliani trasuda nostalgia, per la propria Terra, per la propria tradizione, per la propria stessa esistenza. Penso al Richler di La versione di Barney, al Foer di Ogni cosa è illuminata, a Oz, a Bassani, a Grossman (forse su tutti), e molti, molti altri, più o meno recenti. Nevo non fa eccezione, anzi, questo romanzo è un costante inno al suo titolo, anche (e soprattutto) quando parla del presente che più presente non si può. Inoltre Nevo non risparmia feroci critiche al comportamento degli israeliani nei confronti degli arabi, senza assolversi, andando a fondo, scavando nell'ingiustizia, affrontandola a volto aperto. Il lavoro di ogni scrittore che si rispetti, insomma, e penso che per gli israeliani questo sia fondamentale.

Siamo del 1995, l'anno dell'assassinio di Rabin, anno difficilissimo, di transizione e di attentati sanguinosi. Nevo ambienta la storia in una striscia di territorio, il Castel, in origine destinata al passaggio degli immigrati dal Kurdistan e ora quartiere popolare per i "pendolari" di Tel Aviv e Gerusalemme. I protagonisti abitano in una casa una volta di proprietà degli arabi - prima del 1948, appunto. Quattro case, quattro famiglie, quattro voci parlanti in prima persona: ci sono Amir e Noa, lui studente di psicologia a Tel Aviv, lei studentessa di fotografia a Gerusalemme; c'è Sima, moglie del padrone di casa, sempre "in lotta" con la famiglia ultra-ortodossa del marito; c'è Yotam, ragazzino che ha perso il fratello maggiore nella guerra del Libano e ora vive con la sensazione che mamma e papà non si occupino più di lui, presi da un dolore senza fine e senza consolazione; e poi c'è Saddiq, un muratore arabo che lavora alla costruzione di una casa vicina, ex abitante della casa di Sima in cui vuole penetrare per ritrovare un oggetto murato dalla madre nel 1948, poco prima di essere cacciati. In realtà c'è una quinta voce, quella dell'amico di Amir, Modi, che scrive lettere dall'America Latina, dove è in viaggio, voce che arriva dal “mondo esterno”, ma che è inevitabilmente, come tutti, destinato a tornare in patria, travolto dalla nostalgia di casa. 

Un romanzo corale, insomma, dove le storie dei personaggi si intersecano con la Storia del Paese, una Storia complicatissima, fatta di odi violentissimi e di incredibili atti d'amore, che si consumano tra un autobus esploso e l'altro; in cui la paura costante di morire viene sconfitta dalla bruciante voglia di vivere, di trovare se stessi e, appunto, un luogo sicuro. Sicuro fisicamente e sicuro nell'animo. Ognuno dei personaggi ha un modo diverso di rapportarsi con il territorio e con la ricerca di se stesso. Amir, dopo tanti traslochi, vuole solo fermarsi, radicarsi, trovare un equilibrio con il mondo circostante. Ci prova lavorando con i “matti”, con chi un equilibrio proprio non ce l'ha. Noa invece è in continuo movimento, sempre alla ricerca di fotografie, dalla vivace e pericolosa Gerusalemme alla sicura ma immota Tel Aviv, per poi accorgersi che le foto migliori sono quelle che scaturiscono dal proprio vissuto. Sima porta avanti quotidianamente la sua storia familiare, con il marito e i due figli, trovando continui compromessi tra la sua feroce voglia di presente e le palle al piede della tradizione che vorrebbe la famiglia del marito. La sua casa è la famiglia. Yotam ricerca la sicurezza nell'amore dei genitori, che sente lontani da lui e tra di loro, persi, fino a che a perdersi sarà lui e allora le cose torneranno in asse. La vita deve essere lontana dal dolore. Il loro luogo sicuro è altrove. Per Saddiq il luogo sicuro è quello che lui non ha vissuto, la sua casa di famiglia, in mano a un'altra famiglia ora, che vive gli spazi in modo diverso, ma che si sente a sua volta al sicuro lì, anche se alla fine la sua ricerca lo porterà in prigione perché «nessun poliziotto litigherà mai con un arabo senza alla fine mettergli un paio di manette». E poi Modi, che dopo tante avventure all'estero, dopo aver trovato e abbandonato l'amore vero, non può fare altro che tornare a casa perché alla fine è lì che deve stare...

Voglio leggere di più. Andare più in bicicletta. Migliorare i rapporti con mia sorella. Voglio guardare di più negli occhi. Dire la verità, di più. E poi, voglio tornare a casa.

La scrittura di Nevo è magnifica, immaginifica, descrittiva senza essere pedante, perfettamente aderente ai personaggi, credibile e potente a ogni riga. Profonda ma mai - mai! - melensa. Commovente senza essere lacrimosa. Intima e universale al tempo stesso. Le descrizioni dei luoghi, le notazioni storiche (dai cenni alla politica alla spiegazione del cambio dei nomi delle strade, primo tentativo di cancellazione dell'identità dei luoghi), il calare qualsiasi piccolo sentimento nella storia del mondo è straordinaria. E uso aggettivi roboanti a ragion veduta. A tratti è scritto in rima e ci sono intervallati dei ritornelli tratti dalle canzoni del musicista amico di Amir, vocalist della band Licorice. Il tutto rende la lettura mossa e cadenzata, come una ballata, anche se a volte può risultare un po' strano. Le citazioni musicali ricorrono spesso durante la narrazione, e vengono spesso citati i Nirvana

Sopra il ponte di Mevasseret si ferma la nuvola bianca di un pensiero: per un momento avevamo pensato che la pace sarebbe arrivata davvero.

Una cosa curiosa che ho notato è la scena in cui il fratello di Yotam, Ghidi, morto in guerra, viene metaforizzato in un canguro: mi ha riportato automaticamente alla mente le splendide scene con il canguro che appare al papa Lenny Belardo nella serie Young Pope di Paolo Sorrentino. Lì era metafora di Dio? Forse, certo qui è metafora di compagno dell'Aldilà... forse Sorrentino ha letto il libro. Chissà, certo lo apprezzerebbe... 

Note a margine: Forse perché è un periodo particolare per me, forse perché la Storia irrompe così invadente, così non richiesta, dalle porte di casa nostra tutti i giorni, ho trovato Nostalgia un capolavoro. Lo dico senza paura di esagerazione. Un libro proprio come piace a me, dove le piccole storie quotidiane diventano affresco universale; dove si impara la cultura di un popolo “dall'interno”; dove i personaggi diventano archetipi in cui trovare il filo rosso comune che lega tutti gli esseri umani. La ricerca dell'identità perduta, la ricerca dell'infanzia (non a caso il libro è dedicato dall'autore ai genitori), quella del passato senza cui non ci può essere un futuro; la ricerca di cosa sia davvero importante e cosa no. La ricerca dell'amore e, universalmente, banalmente, della felicità. Splendido... 

Nostalgia, di Eshkol Nevo, Beat Bestseller Edizioni, 2014 (2004), 410 pagine, traduzione di Elena Loewenthal con revisione di Raffaella Scardi. 

Il gatto nella foto: questi piccoli multipli d'arte seguono i percorsi immaginati dall'autrice, Antonella Cicalò, ma possono interpretare anche il flusso dei pensieri del committente che darà così lo spunto per realizzare il suo personale “gatto maestro”, unico e irripetibile. Questi collages sono realizzati con frammenti di riviste letterarie e da collezione, stagnola, legno da recupero e componenti industriali del pet food. Ogni pezzo è unico. Per visitare il suo sito, qui !

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