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Quando le montagne cantano, Nguyen Phan Que Mai


 Leggere Quando le montagne cantano in questi giorni non è solo leggere un romanzo. Non è possibile affrontare questa storia senza avere nelle orecchie e negli occhi quello che sta accadendo in Ucraina. Semplicemente non si può, se si ha un minimo di percezione del mondo. Anche inconsciamente, anche involontariamente, il pensiero va lì. Per questo vorrei considerare questo commento intero una nota a margine

Le sfide affrontate dal popolo vietnamita nel corso della Storia sono come montagne altissime. Se sei troppo vicino, non puoi scorgerne le vette. Ma, allontanandoti dalle correnti della vita, riesci a guardarle in tutta la loro maestosità.

Le montagne che cantano è un riferimento a una razza di uccelli che accompagnavano i soldati nella giungla vietnamita con una voce così intensa che sembrava la voce delle montagne. Questa razza di uccelli fu sterminata dalle sostanze chimiche che gli americani sganciavano dal cielo con lo scopo di far morire la flora per rendere visibili le colonne di soldati dagli aerei bombardieri e dai caccia. Perché la protagonista indiscussa di questo romanzo è la guerra. 

La storia è quella di Huong (all'inizio chiamata con il nome da bambina, Guava), che durante le fasi finali della Guerra del Vietnam vive con la nonna Dieu Lan in attesa del ritorno a casa dei genitori e degli zii, tutti impegnati al fronte, chi come soldato, chi come medico (la madre e il padre). Nell'attesa, mentre la nonna si improvvisa con buôn (commerciante borghese), categoria invisa al nuovo sistema nordvietnamita al potere, racconta alla piccola Huong le peripezie della sua famiglia, iniziate con la profezia di Túc il veggente che nella mano della piccola Dieu Lan legge povertà e sventura. In effetti Dieu Lan sarà costretta ad abbandonare la sua casa, un figlio e un fratello durante la tremenda riforma agraria del 1955 che darà il potere ai contadini di confiscare con la forza i beni dei proprietari e usufruirne a piacere. Nonostante la bontà d'animo e il rispetto per i contadini, la casa di Dieu Lan sarà "conquistata" con la forza, costringendo la giovane a fuggire verso Hanoi con i cinque figli, che lascerà durante la strada a varie persone per poi andarli a riprendere una volta rimessasi in piedi. Nel frattempo, il fratello viene ucciso e il figlio Minh risulta disperso. (Naturalmente tutto questo è raccontato da una sola campana. In realtà la riforma agraria fu molto controversa, è bene dirlo). 

Il viaggio attraverso il Vietnam è costellato di orrori e di grandi gesti di generosità, di atrocità e bellezza. Poi ci saranno la Guerra del Vietnam, i bombardamenti americani con l'Agente Arancio (arma chimica che avrà conseguenze devastanti sul futuro, visto che chi veniva esposto era destinato molto probabilmente a generare figli deformi o morti o gravemente malati, minando di fatto non una ma due e forse tre generazioni), gli stupri, le divisioni, gli odii selvaggi. 

Huong ascolta la storia della sua famiglia mentre ne sta vivendo una tragica copia sulla propria pelle, ma con la speranza, a guerra finita, di riunire la famiglia. Peccato che ogni guerra ha i suoi reduci e che le conseguenze sulla mente e sul corpo dei partecipanti sono sempre le stesse: incubi, follia, menomazioni di arti e cuore, incapacità di comunicare le atrocità viste, subite e inferte. La gente torna, forse, ma non torna mai davvero. Nonostante l'estremo dolore che intride molte pagine, il romanzo trasuda anche speranza e amore, dicendoci che, in fondo, la famiglia è culla e luogo in cui tornare prima della tomba, che la famiglia capisce e perdona, sempre, e anche quando non lo fa con le parole, lo fa nel cuore.

Sono "contenta" di averlo letto ora. Ora che c'è una guerra in corso, perché leggere delle atrocità compiute in altre epoche e in altri luoghi, lontani da noi, aiuta a prendere contatto reale con quella che è la Storia del mondo, nei secoli. E allora l'autocritica nasce, il pensiero critico si attiva, la distanza con le cose del mondo si accorcia e possiamo guardare a noi stessi con occhi diversi e, forse, più aperti.

Anche io avevo odiato l'America. Eppure, leggendo i loro libri, mi ero imbattuta in un altro aspetto di quel popolo: la loro umanità. Mi ero convinta che, se le persone avessero cominciato a leggere e a scoprire le culture degli altri popoli, non ci sarebbero più state guerre.

La guerra è guerra, ovunque sia e chiunque la faccia. Anche se i carnefici siamo noi, anche se noi siamo le vittime. Quello che avvenne in Vietnam è una ferita aperta nella nostra Storia, in noi stessi; le guerre del Golfo, quella in Jugoslavia; quella in Libia; quella, quotidiana, in Palestina... ognuna di queste guerre compone un affresco tragico sulle scelte dell'Occidente, e la pila dei morti forma una montagna dall'alto della quale vediamo un panorama che non possiamo ignorare. Leggendo questo tipo di romanzi - anche se forse questo non è poi tra i migliori per ragioni narrative, letterarie e di scrittura un po' tranchant - penso si senta nello stomaco una sorta di vuoto, come un vuoto d'aria in aereo, in cui non possiamo non riconoscerci dalla parte del carnefice. Ma anche i carnefici hanno le proprie ragioni, che non giustificano la violenza, ma la inquadrano in un affresco più ampio. Quando dalla montagna vediamo le vittime, ricordiamoci che potrebbero, un giorno, essere al nostro posto e a valle potremmo esserci noi. 

Coppola, riferendosi al suo capolavoro Apocalypse Now disse che «ogni film sulla guerra è un film contro la guerra». Già. 

Quando le montagne cantano, di Nguyen Phan Que Mai, editrice Nord, 2021, 380 pagine.




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