- Ma è meglio il libro o il film?
- Ma il libro, certo, niente come la scrittura è capace di descrivere l'animo umano e ciò che vi si agita. Il film può "rendere" solo in parte la parola scritta.
Questa formula è vera quasi sempre; la maggior parte dei film tratti dai libri, in modo più o meno azzeccato, sono inferiori ai "genitori" di carta. Ma ci sono indubbiamente delle eccezioni, in cui il film tiene testa al libro, anche se difficilmente lo supera: penso a Il gattopardo, Via col vento, Fight Club, Hunger Games, Harry Potter... i primi che mi vengono in mente. Ma ci sono anche casi, rarissimi, in cui il film supera ampiamente il libro... Aspetta che ci penso... Mmmmm... non me ne viene in mente nessuno. Questo fino a ieri, finché non ho prima letto e poi visto Chiamami col tuo nome di André Aciman. E da oggi, voilà, ho un titolo! Trovo il film superiore al libro, incredibilmente.
Ancor più incredibilmente vista la natura stessa della trama. Se trama vogliamo chiamarla. In realtà non ce n'è molta: Oliver, ventiquattrenne americano, viene invitato presso la "residenza" di una coppia di intellettuali, aperti di vedute, per finire la sua tesi di post-dottorato prima di tornare alla Columbia University. La coppia ha un figlio diciassettenne, Elio, che appena vede Oliver scendere dalla macchina con la sua camicia "svolazzina" sente qualcosa che si muove nella pancia. Inizia per lui un percorso dentro se stesso attraverso le sensazioni che giorno per giorno Oliver gli comunica, fino a scoprire che anche Oliver ricambia quelle stesse emozioni sensoriali. Passeranno insieme pochi, appassionati, intensissimi giorni fino a quello della separazione. È la classica storia della scoperta di se stessi attraverso l'Altro; un percorso accidentato ma bellissimo, in cui Elio dovrà superare i suoi stessi pregiudizi, le sue paure, i suoi dubbi esistenziali. Tipico, insomma. Anche la scrittura è piuttosto tipica, molto concentrata sui pensieri di Elio, sul suo mondo interiore. Ogni personaggio "secondario" – Chiara, Marzia, i genitori di Elio – tutti "lavorano" per la riuscita della storia, con pochi conflitti esterni, lasciando che i due protagonisti si "smazzino" i propri tarli senza creare ulteriore attrito.
Tutto molto liscio insomma, con qualche incursione nella perversione adolescenziale, fino al finale strappalacrime, un po' forzato, senz'altro prevedibilissimo. Ma non essendo un giallo o un distopico, si può anche sorvolare sulla fine già confezionata alla prima riga. Ma... c'è un grande ma. Aciman scrive il libro in prima persona lasciando la parola a Elio. Questo fa sì che il punto di vista sia sempre e solo il suo. Che ci sta, perché crea in noi lettori le stesse aspettative e dubbi che via via attanagliano l'animo di Elio. Devo dirglielo? Come la penserà? Mi rifiuterà e riderà di me? Mi disprezzerà? È molto più grande, chissà com'era alla mia età... In realtà, però, il libro in generale risulta prolisso, sempre a girare intorno alle stesse domande a cui Oliver risponderà nel modo più scontato, iniziando la storia d'amore tra di loro come una qualsiasi storia d'amore tra ragazzi. Che lo è, naturalmente, ma manca completamente quella sensazione di trasgressione che doveva esserci nell'Italia degli anni Novanta, soprattutto in un paesino della Riviera Ligure (che l'autore non specifica, perché?, non lo capisco) in una storia d'amore tra due uomini con una differenza di età di sette anni. Mi sembra tutto un po' semplicistico, con poco conflitto (se non quello interiore). Un po' alla Moccia, insomma, paragone che farà rizzare il peli a qualcuno, ma che non mi pare così azzardato, in fondo. Anche la parte finale – che un po' sto per spoilerare, avverto – questo andare così avanti nel tempo, soffermandosi su rimembranze forzate tanto che ci si chiede, ma perché?... L'ho trovata appiccicata lì senza un vero senso. I personaggi sono monolitici e anche un po' improbabili. A partire dallo stesso Elio, genietto della letteratura, ma con un giro di amici che niente hanno a che vedere con lui, con cui si interfaccia come se fosse un ragazzetto tipico della sua età senza esserlo, senza che la penna vada a fondo di una personalità così complessa come dovrebbe invece essere. Anche i genitori, bellissimi personaggi, ma appoggiati lì, senza un vero peso. E anche Oliver, alla fine, figura indubbiamente affascinante, che intraprende una storia con Elio pur avendo una fidanzata a casa, ma di cui in realtà l'autore non ci svela nulla di profondo o davvero importante. La scrittura è bella, ma affettata e un po' melensa. Insomma, non mi ha convinto per niente.
Il film, invece, l'ho trovato molto bello. Non urlo al capolavoro come hanno fatto in tantissimi, ma è bello. Luca Guadagnino è bravo soprattutto nel dare un vero corpo ai personaggi, rimandandoci un Elio e un Oliver a tuttotondo, cosa che a mio parere Aciman non è riuscito a fare. Cambiando l'ambientazione dal mare alla campagna cremasca non toglie nulla alla storia, ma aggiunge una location perfetta e un'atmosfera altrettanto perfetta, soprattutto nella casa e nel centro del paese. Anche il cambio della meta del "viaggio" di Elio e Oliver da Roma a Bergamo funziona, o perlomeno nulla altera. E soprattutto Guadagnino opera due tagli sostanziali e secondo me molto azzeccati: la serata che Elio e Oliver passano a Roma con l'editore di Oliver e gli amici; e il finale vent'anni dopo. Proprio le due parti che ho trovato nel libro inutili e ridondanti. Bravissimi gli attori, inoltre: con uno sguardo o un gesto riescono a rendere almeno tre delle prolisse pagine scritte da Aciman. Si capisce tutto, anche la personalità di Oliver, che risalta qui molto più che sulla carta e il tutto acquista un carattere e una forza che nel libro si perde fra mille elucubrazioni che portano solo ad altre elucubrazione senza che queste portino all'azione.
Finalmente quando mi chiederanno di film che superano i libri potrò rispondere con convinzione: Chiamami col tuo nome.
Chiamami col tuo nome, di André Aciman, Guanda, 2018, 271 pagine, traduzione di Valeria Bastia
Qui il trailer del film, di Luca Guadagnino, con Timothée Chalamet (Elio) e Armie Hammer (Oliver). Segnalo la presenza di Elena Bucci e Marco Sgrosso, volti noti del teatro italiano che danno vita a una coppia di ospiti dei genitori di Elio eccentrici e molto azzeccati.
Il gatto nella foto: questi piccoli multipli d'arte seguono i percorsi immaginati dall'autrice, Antonella Cicalò, ma possono interpretare anche il flusso dei pensieri del committente che darà così lo spunto per realizzare il suo personale “gatto maestro”, unico e irripetibile. Questi collages sono realizzati con frammenti di riviste letterarie e da collezione, stagnola, legno da recupero e componenti industriali del pet food. Ogni pezzo è unico. Per visitare il suo sito, qui !