Un avido lettore che si dimentica di camminare con le proprie gambe diventerà solo il voluminoso dizionario di un sapore obsoleto. Niente di più che un pezzo di antiquariato che non servirà a nulla a meno che qualcuno non lo apra.
Pensavo fosse una fiaba molto giapponese, un po' onirica, leggera. E in effetti è così, ma non solo. Il gatto che voleva salvare i libri è indubbiamente una fiaba molto giapponese, molto onirica, ma con un messaggio per niente leggero, anzi. Al di là della storia in sé, è una profonda e intelligente riflessione sulla letteratura e, in ultima analisi, sul nostro modo di percepire la lettura e il mondo della cultura in generale.
Come spesso capita nella letteratura giapponese, il gatto è veicolo di consapevolezza e, come un Virgilio a quattro zampe, accompagna il protagonista, Rintarō - un giovane hikikomori che eredita dal nonno la libreria di famiglia - e la sua giovane amica, alla scoperta di un mondo "altro", che pur appartenente a una dimensione parallela, ha la porta nella libreria. E qui, il primo messaggio: ciò che ti serve per comprendere meglio il mondo, per quanto lontano lo cerchi, probabilmente è proprio sotto il tuo naso e lo è sempre stato. Basta guardare un po' più a fondo, aprire la mente ed ecco che ti si svela l'inconoscibile.
Il gatto condurrà il ragazzo in un viaggio a tappe, attraverso quattro labirinti, durante il quale personaggi bizzarri gli daranno una visione diversa della scrittura e della lettura. In un susseguirsi di citazioni, rimandi culturali, dissertazioni sulla cultura, con un linguaggio che intreccia quello della favola a quello del saggio filosofico, Rintarō alla fine scoprirà che questo viaggio non è altro che un viaggio all'interno del suo mondo, alla fine del quale farà pace con i libri, ne coglierà l'essenza e troverà l'amore.
I rimandi culturali sono numerosi e tra l'altro, curiosamente, occidentali: Gabriel García Marquez, Beethoven, Dumas, Le cronache di Narnia, Il piccolo principe, il Faust, Orgoglio e pregiudizio... Solo chi ha un bagaglio culturale ricco e variegato può scrivere un libro così raffinato e intelligente, in cui la vita intima e personale di un ragazzino disilluso e addolorato dalla morte del nonno, può intrecciarsi con grazia alla concezione della letteratura che è destino di Rintarō. Con quella nota di fantastico così tipica della cultura giapponese, ma che è solo un linguaggio metaforico utilizzato come mezzo per comprendere meglio la realtà. Una nota di merito va al terzo capitolo, dove Rintarō incontra l'uomo che i libri voleva solo venderli: un'analisi interessante e cinica del mercato editoriale e una riflessione sul libro come oggetto fine a se stesso.
Il finale è tutto un mistero che si svela, il grande mistero dei libri... che non rivelerò, ovviamente, ma che è così semplice e così meraviglioso insieme. Perché poi alla fine, e un lettore appassionato lo sa, non è questione di salvare i libri ma di lasciare che i libri salvino noi. Quando poi abbiamo a che fare col dolore di un lutto, e Rintarō ha appena perso l'adorato nonno, i libri sono anche in grado di riportare in vita i nostri affetti... sotto svariate forme – ma questa è una mia assolutamente personale riflessione su un protagonista della storia. ;-)
«Strano», «insolito», «inaspettato», «curioso»: queste parole ricorrono spesso, come a sottolineare il carattere fantastico della vicenda e lo stato d'animo di Rintarō; ma mi sembrano anche le parole giuste per descrivere il libro nel suo insieme. E aggiungerei divertente e intelligente. Da leggere con la mente leggera, ma aperta a fare rimandi mentali e a incamerare informazioni, perché la leggerezza è solo apparente, in realtà Il gatto che voleva salvare i libri ci dice molto sul nostro modo di scrivere, di leggere, di vivere.
Il gatto che voleva salvare i libri, di Sōsuke Natsukawa, Mondadori, 2020 (ma il libro è del 2017), 173 pagine. Traduzione di Bruno Forzan
Alla fine del libro, una breve Nota del traduttore riporta la definizione di alcuni termini giapponesi riportati nel libro.