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Addio a Berlino, di Christopher Isherwood

Addio a Berlino, di Christopher Isherwood
Christopher Isherwood – nato in Inghilterra, emigrato prima a Berlino, poi in America, una vita avventurosa – aveva altri progetti per questo libro: doveva essere uno «smisurato» romanzo – a detta di lui stesso – sulla Berlino prehitleriana, che doveva intitolarsi The Lost e comprendere i testi racchiusi qui e in altre sue opere, che sono tutte diventate creature a sé stanti. Addio a Berlino è dunque composto da sei racconti, in cui l’Io narrante Christopher Isherwood «è solo il comodo fantoccio di un ventriloquo», tra autobiografia e licenze narrative. 

Questi sei racconti compongono l’andirivieni di Christopher tra Berlino e altre località tra il 1930 e il 1933, in cui incontra persone, trova e lascia amici, forse si innamora, sicuramente crea legami importanti, il tutto sullo sfondo incombente dell’avvento del nazismo. Per lui, dichiaratamente omosessuale, è un grande dolore, un grande pericolo, anche se ancora non si conosceva la vera portata di tutto, tenendo anche conto che il libro è del ’39... tanto doveva ancora accadere. Per questo forse Isherwood riesce a mantenere una “leggerezza” che forse avrebbe perso più tardi, come già si evince dalle ultime pagine... è davvero potuto succedere tutto questo? Questo divertimento, questo amore, questa musica? Come se la sua vita fino a quel momento appartenesse a un passato mitico, troppo bello per essere vero...

Personaggi e atmosfera sono le componenti fondamentali di questo romanzo frammentato ma coerentissimo, che mi ha un po’ ricordato Girotondo di Schnitzler nella struttura. A ogni “capitolo” Christopher incontra nuove persone che si incrociano in un modo o nell’altro con quelle conosciute in precedenza. Così, Sally Bowles, la prima, mia preferita, ritorna nell’ultimo capitolo con la sua evoluzione, così come Otto è una figura ricorrente in più capitoli. 

Come si intuisce il libro non ha una trama vera e propria, è a metà tra un diario di viaggio e un memoir. I tipi umani sono molto caratterizzati ma mai macchiettistici, anche se in ultima analisi un po’ monocromatici: c’la padrona di casa Fräulein Schroeder, la ricca decaduta– veramente la sua padrona di casa a Berlino, casa su cui è stata apposta una targa commemorativa; c’è la donna di mondo che usa il corpo per la scalata sociale, simpaticissima (mi ha ricordato molto la Marla Singer di Fight Club) – Sally Bowles, appunto; c’è la coppia non dichiarata di omosessuali che però passano per essere solo amici molto affezionati, Otto Nowak lo scapestrato buono a nulla e Peter, il paziente psichiatrico paranoico; c’è Fräulein Nowak, madre di Otto, che è lo stereotipo della tedesca che finisce nel nazismo senza neanche accorgersene troppo presa dalla sua misera vita; ci sono Natalia Landauer e suo cugino Bernhard, la frivola immigrata e il nichilista che vive la sua vita come se fosse sempre sull’orlo del baratro, e in effetti è così; ci sono i comunisti, i nazisti, le SA... un caleidoscopio di anime che ballano sotto la forca del Füher in una Berlino crepuscolare e crudele, il grande personaggio che spia gli uomini e le donne dall’alto delle future macerie. 

Per quanto spesso la decisione possa essere rimandata, tutte queste persone, in definitiva, sono condannate. La nostra serata è la prova generale di una catastrofe. Come l’ultima notte di un’epoca. 

Un mosaico insomma, fatto di tessere piccole e raffinate a comporre una grande figura, il ritratto della Storia. Da leggere assaporandolo, spiando tra le righe, trafugando le frasi, scritte benissimo con il gusto per la bella parola, e un animo curioso e quieto, nonostante la tempesta che ogni buon osservatore vedeva profilarsi all’orizzonte.

Addio a Berlino, di Christopher Isherwood, Adelphi, 2013 (1939), 252 pagine. Traduzione di Laura Noulian. Da leggere l’introduzione scritta dall’autore


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