Un libro sublime, non c’è molto altro da dire. Le tre camere sono quelle di New York in cui François e Kay consumano il loro amore, nato in fretta, quasi per caso in un locale di Manhattan e cresciuto, cresciuto, lievitato... fino a comprendere tutto il loro essere.
George Simenon lo ha scritto di getto, di pancia, pensando alla sua relazione lunga e tormentata con la moglie Denyse Ouimet.
Ecco due esseri che si muovono, ciascuno nella propria sfera, sulla superficie del globo, che vagano come smarriti nelle mille e mille strade, tutte uguali, di una città come New York.
E il Destino fa che ci incontrino. E qualche ora più tardi sono così tenacemente avvinti l’uno all’altro che la sola idea della separazione risulta loro intollerabile.
Non è stupefacente?
Tre camere a Manhattan è un libro d’amore, romantico e duro allo stesso tempo, scritto in modo meraviglioso, mai melenso, mai banale. La gelosia, il sospetto, il senso di protezione e la volontà di fare del male... tutti i sentimenti belli e brutti che percorrono una storia d’amore affrontati con passione, ma con oggettività. I lati meschini dell’uomo, quelli più fragili della donna; il morboso senso di possesso che si trasforma in attaccamento romantico; la fiducia che diventa lassismo; e alla fine, la catarsi del capire che un nuovo giorno, azzerato, in cui riscoprirsi puri, scevri da peccati, vergini, è la porta del futuro, insieme.
Cominciava un nuovo giorno e loro con grande calma, senza timore e senza protervia, solo con qualche goffaggine perché erano ancora troppo nuovi, incominciavano a vivere.
«Erano ancora troppo nuovi»... Che dire di più? È Simenon, una delle penne più potenti e raffinate del Novecento. Da leggere e assaporare lentamente, senza indugi.
Tre camere a Manhattan, di Georges Simenon, Gli Adelphi, 2015 (1946), 190 pagine. Traduzione di Laura Frausin Guarino