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Muga-Muchū, di Philippe Forest







Nel giorno dell’anniversario di Hiroshima lascio la parola a Gabriele Lopez, che ha letto Muga-Muchū di Philippe Forest, che parla di... vi lascio alla lettura.

Il titolo recita: Bomba atomica colpisce - Una città svanisce.

Come spesso avviene per la lingua giapponese, si parte dall’interpretazione di alcuni ideogrammi, che spesso dialogano tra di loro e, rispondendo, formano una nuova possibilità di significato. In questo caso descrivono lo stato in cui si trovarono i sopravvissuti al bombardamento americano dell’agosto del 1945, che è di difficilissima descrizione. Senza coscienza, privi di sé, in balia del vuoto, persi nell’estasi di un annientamento in cui svanisce ogni certezza di essere qualcuno.

In buona sostanza come spesso accade nella lingua giapponese, ci ritroviamo di fronte a qualcosa di intraducibile e incomprensibile al di fuori della civiltà e della cultura nipponica. Lo stesso potremmo dire del termine muga-muchū che si può usare per descrivere lo stato di straordinario stupore che avviene in noi di fronte alla visione di una catastrofe, ma anche l’assenza che può provare chi viene assorbito da una pratica quale l’esercizio di alcune arti marziali o della meditazione... seguire il cielo, lasciare il Sé...

Il libro è liberamente ispirato ai fatti del 6 agosto 1945, e si articola su monologhi che durano i 43 secondi intercorsi tra il lancio della bomba atomica su Hiroshima e la sua esplosione.

La prima voce è quella del pilota americano del terzo bombardiere coinvolto nell’operazione, il Necessary Evil, mentre la seconda è quella di una giovane donna giapponese che vive nei dintorni della città. Il terzo personaggio è Yōsuke Ymahata, il fotografo che per primo immortalò gli effetti del bombardamento di Hiroshima.

Un libro che come gli haiku giapponesi, è “fatto di poco” e lascia che chi legge possa perdersi per continuare e immaginare... e comprendere come Senza coscienza sia un titolo centratissimo: rimanere senza coscienza, o essere incoscienti di ciò che si sta per fare.
Voce 1: Ho fatto quel sogno. La notte scorsa. Adesso mi viene in mente. Volavo nel cielo. Lo stesso di ora. Solo che non c’era niente. Non c’era nessun aereo davanti a me. Ero nel blu, il grande blu leggero e senza forma, il vuoto libero da tutto [...] cercavo con le mani i comandi, tentavo di ricordarmi i gesti, mi ripetevo tutte le regole, volevo vedere gli occhi tondi dei quadranti puntati su di me, verificare la velocità, l’assetto, l’altitudine. Ma era sparito tutto. Non volavo nel cielo, ero diventato il cielo...
[...] Ne ho parlato con il cappellano militare. A mezze parole, certo, perché neanche a lui ero autorizzato a dire niente. Gli ho chiesto: «Padre, il male può essere necessario? Può giocare un ruolo nel mistero della salvezza e redenzione di cui ci ha parlato? Padre, nel pensiero di Dio c’è un posto in cui possa essere accolto senza vergogna il crimine abietto di aver versato la morte sul mondo e su coloro che ci vivono?». Non ha risposto. Il ventre dell’Enola si apre davanti a me. Che basti una sola bomba mi sembra strano quando di solito si abbattono a decine... la vedo sganciata. Seguo la procedura prevista...
Voce 2: Mi sono alzata. Ho aiutato Mayumi a prepararsi, le ho dato il bentò con il pranzo. Ormai ha sette anni. È abbastanza grande per andare a scuola da sola. Ho pensato: «Oh che coraggio straordinario hanno i bambini che affrontano senza dire nulla la routine della vita!». L’ho accompagnata fino in fondo al giardino e l’ho salutata. Le ho detto: «A stasera!».
Pochi minuti dopo suonerà l’allarme e la giovane donna vedrà tre piccoli aeroplani in cielo, sopra la città...

Muga-Muchu, di Philippe Forest ©Yosuke Ymahata
© Yōsuke Ymahata

In Giappone la definizione di fotografia assumerà il significato, tradotto, di «verità fissata».
Questa donna verrà cercata e ritrovata decenni dopo, quasi immutata nella sua bellezza, e racconterà di come il bambino fosse morto poi solo pochi giorni dopo, quando le forze lo abbandonarono, e che «nulla potrà giustificare quella perdita».
L’operazione americana venne giudicata necessaria, ma ci sono molte prove di come il Giappone fosse ormai allo stremo e praticamente arreso.
Il giovane Yōsuke – proprio nel giorno del suo compleanno, visto che nasce il 6 agosto 1917 –, fotografo di guerra, si trovò davanti a uno spettacolo spettrale, un nulla di cui nessuno vuole sapere nulla, una discesa all’inferno, una sensazione di stranezza in cui le parole si staccano dalle cose e resta solo vuoto e angoscia.
Resteranno solo alcune fotografie, sviluppate quella stessa notte, pubblicate sui quotidiani giapponesi e poi censurate durante l’occupazione americana, esattamente come furono nascoste e omesse le fotografie scattate tra il 1941 e il 1944 a Singapore, in Malesia, in Cina e in altri vari teatri delle operazioni giapponesi. Atrocità e umiliazioni di cui Yamahata è sicuramente stato testimone.
Morirà decenni dopo – di nuovo fatalmente, il 6 agosto 1966 sarà vittima di un malore che lo porterà alla morte poche settimane dopo – e le sue ultime foto saranno foto del mare che sbatte contro gli scogli, un’ode allo splendore del mondo nelle piccole cose.
Tutto appare così, prima e dopo, nelle intenzioni e negli effetti: senza coscienza.

Muga-muchū, di Philippe Forest, nonostante edizioni, 2018, 159 pagine. Traduzione di Gabriella Bosco. Non ho trovato pagine né siti della casa editrice posteriori al 2019; temo non ci sia più. Sarebbe un gran peccato, ma sono ancora più contenta di renderle omaggio

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