Un appartamento all’interno di questo condominio viene ereditato da Jim Cromwell che ci si trasferisce con la moglie Casey. Jim è un account di un’agenzia di pubblicità insieme al creativo Paul Gordon – la cui moglie, Mary, è molto amica di Casey – e a Tony Stewart, scapolo impenitente, donnaiolo e uomo d’affari rampante. Sono sull’orlo di concludere un affare che porterà all’agenzia un budget da otto milioni di dollari tramite un produttore di scarpe, Lester Weinberg, sposato con la poco elegante Gertrude. È praticamente fatta, senonché attraverso la stampa, Jim scopre che Weinberg sta prendendo in considerazione altri fornitori e scopre anche il motivo: questi stanno facendo una corte spietata a Gertrude, attraverso regali, splendide cene, palchi all’opera, con lo scopo di spingerla a convincere il marito ad affidare a loro la campagna. Da qui l’idea di far ottenere ai Wienberg un signorile appartamento al prestigiosissimo 617 Park. Ma Weinberg è ebreo. E lo sono anche i Gordon, che tramite bugie e imbrogli, riusciranno ad avere una casa proprio lì, per creare un precedente. Il Consiglio, che al compito di accettare o meno i nuovi condòmini, è presieduto dal vecchio avvocato André Livingston e formato da una serie di uomini e donne più Wasp di Trump, incarogniti e antisemiti. Prima fra tutti, la baronessa Felicia von Brennerhof, che ha un oscuro passato ed è veramente detestabile; è l’amante dell’avvenente psicologo Richard Basil, sposato con Louise, cornuta consapevole e resa folle dalla gelosia e dall’alcol. Nel Consiglio ci sono anche Eileen e Rosemary Murphy, Antoinette Stone e l’aperta e sempre ottimista Elinor Simpson. Un catalogo di personalità che alternano chiusure bigotte insopportabili alla grottesca ironia amara dell’alta borghesia che si rende conto dei tempi che cambiano, ma non ha per niente voglia di assecondarli.
La bellezza di I visitatori devono farsi annunciare, al di là del titolo strepitoso e oltre alla scrittura incredibilmente contemporanea di Helen Van Slike, sta nella narrazione molto lineare della storia, vecchio stile, senza arzigogoli, salti temporali, esercizi virtuosi. Ed è proprio questa narrazione senza orpelli che arriva così potente al cuore del discorso: il razzismo senza senso, il pregiudizio, il partito preso e i costumi che evolvono ovunque tranne che nelle società chiuse di classi sociali ormai al tramonto ma disperatamente attaccate alle proprie convinzioni, fino al ridicolo. Perché sono veramente piccoli e ridicoli questi personaggi/statue di cera, che sembrano pesci agitati in un barile; un barile fatto d’oro forse, ma che li costringe nel piccolo spazio delle loro teste fino a soffocarsi l’un l’altro. I personaggi sono disegnati benissimo, coerentissimi, sfaccettati. Il femminismo è palese: Gertrude è fantastica, piena di risvolti, intelligente; Casey e Mary raccontano di un’amicizia totale e squisitamente femminile; Louise fa pena e rabbia allo stesso tempo, ma anche lei troverà la salvezza; la baronessa è un essere ignobile, ma a modo suo un lato della donna molto interessante. Ognuno sa qual è il suo ruolo nella società e lo difende e lo rispetta, sia nel bene che nel male.
E viene un po’ da sorridere a sentire queste questioni; ci sembrano così lontani i tempi del «non si affitta ai meridionali» o «vietato l’ingresso agli ebrei»... ma siamo sicuri che si siano fatti tanti progressi? Sì, dai, ora non si scrive e non si dice più... l’ipocrisia che c’è sempre stata e sempre ci sarà. Basta passare dal 617 Park.
Un romanzo magnifico, come spesso i romanzi americani di quel periodo. Penso ad Harold Robbins, per esempio, altro mago della narrativa. A volte rimpiango molto questo tipo di scrittura. Narrativa, semplice ma raffinatissima.
I visitatori devono farsi annunciare, di Helen Van Slyke, Mondadori, 1985 (1972), 346 pagine. Traduzione di Tilde Arcelli Riva. In questa edizione è fuori catalogo, ma si trova usato, nell’edizione Sperling & Kupfer