Ciò che è impossibile non fa stare male, soffriamo solo di ciò che è possibile ma non succede.
A volte Michel Bussi esagera un po’. Le trame dei suoi libri sono complesse, costruite molto bene, con finali a sorpresona. Quella di Forse ho sognato troppo è esattamente così. La storia di Nathalie si snoda tra Parigi – dove vive –, Montréal, Los Angeles, Barcellona e Giacarta.
Perché Nathalie è una hostess di Air France, ha un marito ebanista, Olivier, due figlie, Laura e Margot, due nipoti gemelli, un genero gendarme, Valentin, e un amante, Ylian, musicista di genio ma con una vita da artista squattrinato e girovago, con cui vent’anni prima ha stretto un patto: non si sarebbero mai più né visti né sentiti, qualsiasi cosa fosse accaduta. Un amore immenso che doveva finire, ma che nel cuore non sarebbe mai morto. Un sacrificio enorme in nome di qualcosa di preziosissimo.
Nessuna donna l’ha mai fatto, perché per farlo bisogna amare come nessuno ha mai amato.
Ora, nel presente, Nathalie si trova in mezzo a tutta una serie di coincidenze che la portano a rivivere quei folli giorni del 1999. Torna sui luoghi in cui era stata con Ylian, incontra le persone che hanno in comune – l’impresario Ulysse in primis, personaggio fondamentale e un artista di strada di Barcellona – e intanto a Ylian succede qualcosa che riapre la partita. La squadra di volo di Nathalie – tra cui l’amica Florence e la tirocinante Charlotte – sarà testimone di tutta una serie di strane vicende: rapimenti, strane comparse di oggetti dal passato, corsi e ricorsi, il tutto con una pietra del tempo inuit come fil rouge.
Una storia bislacca, che sembra basata più sulla magia che sulla realtà, ma che, naturalmente, troverà le proprie ragioni in una serie di scatole cinesi un bel po’ improbabili, ma che tengono incollati alle pagine fino a un finale sorprendente, à la Bussi, e anche commovente, tenero, triste per certi versi, gioioso per altri. Il tutto con la maestria della narrazione di Bussi che come sempre riesce ad appassionare.
Certo, l’improbabilità e la stranezza di certi atteggiamenti dei personaggi a ’sto giro sono veramente un po’ estreme, ma glielo si perdona in nome della curiosità che riesce a scatenare.
Molto bella la parte relativa allo tsunami della Thailandia e alla particolarità del suo popolo, al suo isolamento dal resto del mondo, che in effetti fa riflettere su un po’ di cose al di là della trama gialla. Anche qui, moooooooooooolto tirata per i capelli, ma bella, poetica.
Consigliato a chi vuole farsi un bel viaggio di avventura sospendendo la ricerca spasmodica della verosimiglianza, lasciandosi trasportare per il mondo da una vicenda tra realtà, illusione, forse magia...
Forse ho sognato troppo, di Michel Bussi, edizioni e/o, 429 pagine. Traduzione di Alberto Bracci Testasecca