L’altra di noi, che è me.
Oh, una bella letturina leggera e serena per le vacanze! Vista la brevità delle vacanze medesime, in effetti, un thriller ad alta tensione ci sta! A parte gli scherzi, dopo un periodo di lavoro molto intenso ho avuto finalmente il tempo di aprire questo spesso, corposo, recentissimo romanzo di Joyce Carol Oates, Babysitter.
Margaret Atwood scrive: «Inquietante, misterioso, geniale, sinistro e incredibilmente reale». La Atwood mi ha tolto le parole di bocca (ahahahahahahah!). E in effetti per questo romanzo, la Oates, come spesso succede, attinge a un caso di cronaca nera americana della metà degli anni Settanta, rimasto insoluto: tra il 1976 e il 1977, la città di Detroit viene sconvolta da una serie di omicidi particolarmente cruenti che hanno come vittime ragazzini molto giovani, che vengono rapiti, torturati per giorni e fatti ritrovare in luoghi pubblici, vestiti di tutto punto e perfettamente lavati. Per questi motivi, un giornalista dell’epoca, lo aveva battezzato Babysitter.
Come sempre la Oates tiene il caso di cronaca come pretesto per parlare a latere della società americana bianca e razzista, e delle sue storture, di famiglie sfasciate senza saperlo, di donne insoddisfatte, di uomini senza scelta. I temi, insomma, sono i suoi e si può tranquillamente accostare questo Babysitter a quello che per me resta il suo capolavoro assoluto, Sorella, mio unico amore (da poco rieditato da La nave di Teseo, grazie Elisabetta!).
L’occhio vede le perle, non il filo (semplice robusto) che le tiene assieme. Ogni perla perfetta, splendida. E il filo che le lega invisibile, impercettibile.
La vicenda si svolge a Far Hills, Michigan e la scopriamo a poco a poco attraverso le voci di Hannah Jarrett e Mikey-Codadicavallo. Hannah è una bella trentanovenne, moglie di un ricco uomo d'affari, Wes, e madre di due figli ancora piccoli, Katya e Conor. Con loro la governante filippina Ismelda. Il Mulino Bianco, insomma. Una bella casa con piscina, una vita sociale soddisfacente in cui splendere con begli abiti e ottima “posizione”, soldi da spendere... Hannah è frustratissima, succube del marito, piena di tempo libero che fa fatica a occupare, dedita ai figli che però “divide” con Ismelda... Insomma, un grande classico dell'alta borghesia della provincia americana, personaggi-tipo della Oates.
Hannah è sollevata. Wes rifiuta una sua idea per poi riconsiderarla e riformularla in modo tale da sembrare generoso nei suoi confronti, attento verso il suo punto di vista; se possibile, migliorandolo.
A un certo punto l'imprevisto, il conflitto, entra in scena sotto forma di affascinante straniero (?), che si fa chiamare solo con le iniziali Y.K., che tocca con voluttà un polso di Hannah durante una serata mondana di beneficenza... e tac!, il gioco è fatto, la bocca del tunnel è spalancata, la violenza pronta dietro l’angolo a serrare la gola di Hannah, a sconvolgere la vita della famiglia Jarrett... Hannah di Y.K., per gli “amici” Occhiodifalco, subisce il fascino, la bramosia, le bugie e la crudeltà, esponendo la gola al suo predatore, come una vittima sacrificale. Il senso di colpa di Hannah è tremendo; la spinge a considerarsi il motore delle disgrazie che rischiano di abbattersi sulla sua famiglia. Tutt’a un tratto la quotidianità diventa un maelstrom impetuoso in cui la giustizia dovrebbe farla sprofondare. E non solo accetta, ma comincia a desiderare le umiliazioni e le menzogne che le vengono propinate dall'amante. Anche se la fanno soffrire, anche se la rendono schiava di cose orribili, anche se comincia a sospettare che l'amante sia Babysitter, che nel frattempo ha rapito un bambino proprio nel suo quartiere.
Wes allora diventa un nemico; i suoi figli alternativamente ancore a cui aggrapparsi e zavorre da tagliare e lasciar cadere nel vuoto; Ismelda un ostacolo e una spia... La quotidianità di Hannah si trasforma in un inferno, voluto e potenziato, tutto in nome del disperato bisogno d’amore che ha da sempre, da quando Papà Pagliaccio e la madre la trattavano come una pezza da piedi.
Ismelda: [Babysitter] deve essere bianco per andare ovunque vuole andare, senza essere visto e senza che gli vengano fatte domande come a loro verrebbero fatte.
E si fa anche causa di morte ai danni di un povero ragazzo, che però, essendo nero, beh, per un motivo o per l’altro sicuramente se lo meritava. Sì, perché quello del razzismo e del classismo, è l’altro grande tema del romanzo. Hannah è colpevole, altroché se lo è; è un’adultera che espone i figli e il marito a pericoli indicibili, pur sospettandolo; è una bugiarda; è anche meschina se vogliamo, anche se è facile provare pietà per lei; eppure, nessuno, mai sospetta delle sue bugie e della sua vita parallela: perché lei è bianca, è ricca, è una madre di famiglia e queste cose le donne come lei non le fanno. È inconcepibile! Sono i neri che delinquono, che stuprano, che ricattano. Sono i neri ai danni dei bianchi che mettono in atto subdoli sotterfugi e sono capaci di violenze estreme, che mentono, che hanno perversioni... Hannah si sente in colpa per questo, bisogna dargliene atto, ma non riesce a smettere di scaricare il barile, pur soffrendo nel suo intimo sensi di colpa tremendi, non è in grado di esprimerli, ma solo di subirne le conseguenze. È una donna debole, quasi gode a essere sottomessa – dal marito come dall'amante e da altri personaggi del romanzo –; non conosce la sua realtà pur vivendola quotidianamente, come le ricorda spesso il personaggio di Ismelda, quella che sa le cose, che conosce i suoi figli e la sia vita meglio di lei... Hannah vive in un mondo che non conosce, che non capisce, da cui vuole evadere, ma non vuole... Insopportabile se vogliamo, piagnona e anche un po’ stupida. Ma così umana, così reale!
Una vita a sorridere e nessuno a cui importi di lei.
Ma c’è anche la voce di Mikye a raccontare il lato oscuro della luna. Quello a contatto con la violenza e l'empietà, quello che ha tutte le ragioni per sentirsi una vittima, che lo è, legittimamente. Quello che non ha passato la vita a sorridere per finta ma a soffrire e a obbedire al Male. Quello che, alla fine, farà di più per le altre vittime della ricca Hannah, che salverà invece di uccidere, che avrà il coraggio di denunciare, almeno alla sua coscienza. Un bel personaggio, tormentato e triste, ma sicuramente più empatico della tafazziana signora del bel mondo.
Il finale è aperto, criptico... ai lettori l’ardua sentenza.
La scrittura della Oates come sempre è sublime, mossa, piena di reiterazioni e tempi verbali “licenziosi”, a tratti iperbolici. L’uso del gerundio, delle ripetizioni tra parentesi, il passaggio dalla terza alla prima persona, il continuo spostamento del punto di vista... Bellissimo, da leggere quando si ha tempo, per non perdersi il ritmo, perfettamente musicale, dark rock, punk, a volte jazz... alla fine, forse, un requiem...
Babysitter, di Joyce Carol Oates, La nave di Teseo, 2022, 529 pagine. Traduzione di Chiara Spaziani