It means nothing to me, this means nothing to me...
Comincio in modo un po' insolito dicendovi che su Spotify c'è la playlist di tutte le canzoni citate nel romanzo (tengo a citare soprattutto Vienna degli Ultravox). Un viaggio psichedelico assurdo, che penso sia fantastico per entrare nell'atmosfera di questo romanzo gustosamente e inquietantemente anni Ottanta!
Siamo infatti nel 1981, Bret Ellis ha diciassette anni, è ricco, va in una scuola prestigiosa di Los Angeles, la Buckley, dove arriva un ragazzo nuovo, Robert Mallory, che si scopre essere uscito da poco da un ospedale psichiatrico. Nello stesso periodo a Los Angeles imperversa il Pescatore a Strascico, serial killer che tortura e scuoia le sue vittime, ibridandole con i loro animali domestici; indossa un passamontagna nero e tiene sempre in mano un coltello da macellaio. La classica iconografia dei film horror degli anni Ottanta, insomma (alla Halloween, o Venerdì 13, per intenderci). E così, tra un pedinamento, un trip e tanta immaginazione, il giovane Bret comincia a convincersi che Mallory sia il Pescatore, in un viaggio psicotico continuo, sempre più reale. Gli indizi si sommano, le testimonianze concordano, la «cronologia» torna perfettamente.
Le parole d'ordine del romanzo sono “paranoia” e “finzione”. Tutti i personaggi sono paranoici e fingono. Tutti. Gli amici di Bret: Susan Reynolds finge di amare Thom Wright (forse l'unico personaggio troppo “tonto” per fingere alcunché); Debbie Schaffer – “fidanzata” – di Bret finge di credere che lui la ami; Terry Schaffer – padre di Debbie –finge di essere eterosessuale e sua moglie Liz in società finge di non saperlo e di non essere alcolizzata; e tutti i personaggi che si susseguono fingono, a loro modo, su aspetti fondamentali dell'esistenza. E poi proprio Bret finge di non essere omosessuale, di non amare Susan, di amare Debbie, di non provare attrazione sessuale per Thom, Ryan Vaughn, Jeff Taylor, Matt Kellner, Robert Mallory... Finge che siano gli altri ad avere problemi e lui no. Finge di credere alle sue stesse parole. Finge di essere felice a stare da solo, mentre i genitori sono in giro per il mondo da due mesi, nell'enorme casa con piscina di Mulholland (che rievoca Mulholland Drive di David Lynch, you know? E il regista, quelle atmosfere lì, quei personaggi psicologicamente disturbati lì, vengono in mente spesso in effetti). Finge di non sapere cosa stia succedendo realmente. Ma il più grande mentitore di tutta quanta la faccenda è Bret Ellis stesso, lo scrittore, che ci fa credere sia tutto vero, che sia un aneddoto della sua biografia, mentre è tutto inventato. E così facendo ci porta in un'atmosfera molto reale, ci dipinge un'epoca non con gli occhi di un personaggio di fantasia, ma con i suoi, e ci dice: «Ehy, è tutto vero! Si viveva così nella Città degli Angeli degli anni Ottanta!» tra droghe e solitudini e libertà di costumi e alcol e macchine di lusso e l'ipocrisia tipica di una classe sociale che ha troppi soldi, troppo tempo e valori troppo fragili. E noi gli crediamo e credendogli crediamo anche al ragazzo paranoico che vede i serial killer nel compagno di banco bellissimo, sconosciuto, desiderabile, icona gay, dicendoci allo stesso tempo che dobbiamo avere paura di ciò che non conosciamo, di ciò che è alieno al mondo dorato delle fighette, delle feste a bordo piscina e del bel vivere. Ci dice: «Noi negli anni Ottanta eravamo dei vacui rincoglioniti, ma quanto ci siamo divertiti! Eravamo paranoici? Sì, ma andava bene così».
Affermare che qualcuno di noi fosse politicamente impegnato avrebbe significato entrare nel mondo delle favole: eravamo adolescenti distratti dal sesso e dalla musica pop, dai film e dalle celebrità, dal piacere e dall'effimero e dalla nostra innocente neutralità.
E poi ci sono i temi del doppio e della crisi di identità (sessuale, sociale), che nel proprio Io sono conflitti interiori, all'esterno diventano menzogna. Bret indossa spesso i panni del «visibilmente partecipe», che è quello che fanno tutti. In società, ma poi... Come indossa i panni del ragazzo etero e prestante, stando insieme a Debbie e mostrando di essere anche un ottimo amatore, mentre pensa al corpo scolpito del fidanzato della sua migliore amica di cui, comunque è innamorato. Un bel casino, insomma.
Mi estraniai dalla conversazione che seguì. Studiavo le loro facce. Se mi si chiedeva di dire qualcosa lo facevo. Se mi si chiedeva di reagire a qualcosa lo facevo. Ridevo quando richiesto. Mi dichiaravo d'accordo con qualcosa quando ci si aspettava che lo facessi. Se loro tre si dichiaravano d'accordo su qualcosa esprimevo anch'io un'opinione analoga.
Le schegge è molto simile ad American Psycho, ma al contrario: mentre Patrick Bateman immagina se stesso come un serial killer vendicatore delle idiosincrasie e del marciume della classe potente americana, così Bret Ellis proietta fuori da sé il Male, lo guarda dall'esterno, lo fa entrare in corpo non suo, ma che vorrebbe possedere, sessualmente, per poi scivolare fuori e lavarsene via il fetore. Interessante meccanismo. I due libri ci danno due punti di vista diversi dello stesso immaginario psicotico e metafora di un'epoca a sua volta psicotica.
La scrittura di Ellis come sempre trascina, non si riesce a smettere, si diventa paranoici con lui, si fanno ipotesi, si sviscerano immagini e dialoghi... Come in American Psycho (che considero un capolavoro) abbondano le liste di marchi d'abbigliamento, di accessori, di macchine; sono precisissime le descrizioni dei luoghi e degli aspetti esteriori dei personaggi: come portano i capelli, che odore hanno, come camminano; c'è una ricerca maniacale del particolare. Il tutto concorre a catapultarci esattamente nel clima che vuole Ellis. Si sentono le musiche, i profumi delle donne, il vento di Los Angeles, le urla delle vittime... Pazzesco. Un viaggio allucinante in una mente disturbata e ossessiva. E come scrive bene! Darei non so cosa per scrivere così!
Non c'è bisogno che ripeta l'importanza della colonna sonora, ma fondamentali sono anche i mille rimandi a film (Shining, Momenti di gloria, fra gli altri), firme di abbigliamento, luoghi simbolo dell'american dreams, dagli iconici ristoranti, alle palestre, alle vie che hanno reso famosa Los Angeles.
Forse mi aspettavo un po' più di chiarezza dal finale. Ma la chiarezza non è una virtù di Ellis...
Le schegge, di Bret Easton Ellis, Einaudi, 2023, 737 pagine. Traduttore: Giuseppe Culicchia