Se vi abituerete a distruggere da soli quello che amate non saranno gli altri a farlo.
Siamo tra Bilbao e Parigi nel 2007-08. Iokin e Gorane, gemelli, crescono così, distruggendo quello che hanno di più caro davanti agli occhi orgogliosi dei genitori, terroristi dell'Eta. Combattenti, fanatici, assassini, il grande desiderio dei Moraza è di crescere ragazzi che combattano per i Paesi Baschi, e per la propria libertà («Uccidi tutti i cattivi, libertà»). Un addestramento più che altro. Risultato: Iokin si buca, Gorane è una disadattata sociale, che ambisce a una gabbia di regole e convenzioni e che diventerà un qualcosa che i loro genitori avrebbero ripudiato.
Io non sopporto le mescolanze perché ci sono cresciuta, nella mischia, perché nessuno mi ha insegnato come separare il sogno dalla veglia, l'infanzia dall'adolescenza dall'età adulta e dalla vecchiaia, l'essere figlio dall'essere genitore, la giustizia dalla brutalità, la libertà dall'incoscienza, la maleducazione dalla sfrontatezza, la fratellanza dall'amore, la follia dall'intelligenza, il sogno dalla fuga, la fuga dal coraggio, il coraggio dalla bellezza, la bellezza dalla maledizione. A me hanno spiegato solo qual era il bene e qual era il male, ma non mi hanno spiegato perché...
Ma loro sono morti, suicidi; si sono gettati dalla finestra del loro covo quando arrivano per arrestarli. Qualcuno li ha traditi, rivelando la loro posizione alla Guardia Civil.
Ma entrambi restano in casa, passano sotto le porte, sbucano da sotto il letto, chiedono da mangiare e di essere lavati, di essere accuditi. Da Gorane, che li vede e li sente e deve ancora, sempre, occuparsi di loro. Da sola, perché Iokin è andato a Parigi in cerca di fortuna nella musica e di eroina per far finta di essere qualcun altro. Gorane impazzisce, finisce prima dallo psichiatra - il dottor Jespersen - e poi a Parigi, in cerca di Iokin, gemello, amante, famiglia, l'unica che le è rimasta. Ma Iokin non è più lì, è dovuto tornare in Spagna, prigioniero, prima di tutto di se stesso.
La prima parte è scritta in modo molto particolare, in soggettiva, da Gorane, persa nei fumi delle sue allucinazioni genitoriali, sul lettino dello psichiatra; la madre, che scrive senza punteggiatura, usando solo i punti, come a dire che ci sono solo giri di boa nella vita, azioni categoriche, nessuna sfumatura di virgole o due punti: «Se fosse stata più lontana avremmo potuto vederla chiudersi odiarci»; e Iokin (ma è davvero lui a parlare?) la cui vita in Francia scorre tra una dose e l'altra, tra una ragazza inafferrabile e ancora lei, Germana - o Ginevra?
Valentina Maini è molto brava. Parla di estremismo e terrorismo attraverso la storia di chi diventa qualcosa suo malgrado, trasformando La mischia in un romanzo più che sulle azioni, sulle conseguenze delle azioni di altri sull'individuo. Con una scrittura varia e ricca di descrizioni soprattutto di stati interiori, disegna una ricerca che è fuga, di persone sperse in un mondo che non è il loro, che si rincorrono in un cerchio di vita e morte, dove tutto, alla fine, torna al punto di partenza, perché dalla tua fonte pensi di poter scappare, ma non puoi.I centri commerciali sono diversi qui. Proviamo a infondere loro vita per mezzo del disordine. Qualche cosa impedisce al disordine di restare, noi ripercorriamo gli scaffali al contrario e tutto è tornato al suo posto. È un meccanismo perfetto spaventoso. Il caos ci si ritorce contro in forma di ordine e pulizia.
La mischia è un libro potente, la Maini guarda il dolore in faccia, senza paura e ci entra dentro con un'escavatrice, senza risparmiarsi, senza risparmiarci. E ci urla: state attenti! Ciò che facciamo ai nostri figli, marchierà indissolubilmente ciò che saranno. E ancora, attenti: troppa libertà può trasformarsi in un cappio. Attenti a chiedere ai figli di essere come noi... che poi finiscono con l'assomigliarci davvero.
Lo consiglio a chi ha voglia di entrare nelle cose, a testa in giù e occhi aperti... anche se rischia di entrare del sangue.