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M - Gli ultimi giorni dell'Europa, di Antonio Scurati


Questo post è di Antonella Cicalò Danioni, che ospito con piacere sul mio blog perché dà un parere su un libro che ho amato moltissimo e ritengo possa essere commentato da lei in modo molto efficace.

M. Come Male? Come Mostro? Francamente era stufa (e sono) delle semplificazioni e delle similitudini che sono le rampolle predilette di ogni disinformazione. Con l'avvento del nuovo governo le bimbette sono tornate in auge e sgambettano in ogni direzione. A me interessava in particolare il periodo in cui il consenso per il Duce si estende al Führer, e ancora, la liaison dangereuse – ah, quante lettere!tra Mussolini e Hitler si consolida.

Forse per sdrammatizzare l'impegno nei confronti del testo da parte del lettore, Antonio Scurati definisce M - Gli ultimi giorni dell'Europa (terzo libro di una prevista quadrilogia) definisce «romanzo» e tale pare l'inizio, dove un tormentato professore, tal Ranuccio Bianchi Bandinelli, almanacca sulla possibilità di ucciderli entrambi; fantasie di un pover'uomo, un archeologo chiamato a fare da guida turistica all'illustre coppia. Mussolini infatti accoglie Hitler alla stazione di Roma: è il 3 maggio 1938.

Il nostro Cicerone troverà il Duce massiccio e rozzamente magnetico, mingherlino e quasi modesto il Führer, ben lontani comunque dall'immagine mentale che se ne era fatto. Non dubita di trovarsi davanti a fabbricanti di rovina, ma dubita della sua passione, non la riconosce più. Intuisce che si è fatta quieto vivere e paura. Il binomio ideale dell'arte ipocrita del barcamenarsi che investirà i gemelli diversi e il popolo italiano. La relazione del Führer coi tedeschi è diversa, anche se ha la stessa radice: la pace seguita alla guerra del 1915-18 che ha lasciato macerie fisiche e morali tanto nei vinti quanto nei vincitori.

Oddio, non sia mai! Trovare motivi al nazismo e al fascismo? Non si fa, ma nel '29 come nel '33, li trovarono popoli ricchi di storia e cultura (e non poche cancellerie europee).

La lettura del «libro sotto la forma di romanzo» si rivela più puntigliosa di un saggio. Diari, elenchi, documenti, lettere. Tutto concorre alla precisione del quadro. M come le morbose frequentazioni del clan Ciano, M come le magniloquenti profferte di fedeltà tra Mussolini e Hitler: narcisista e cialtrone il primo, bipolare e ossessionato il secondo. Si credono e non si credono, si seducono ma non si capiscono. Il primo, pienamente consapevole dell'impreparazione del Paese alla guerra (è l'aspetto più agghiacciante - M diventa menzogna!), tempesta l'alleato di continue richieste allo scopo di tirarla in lunga per almeno tre anni, l'altro dà corda per tenere il nostro lontano dalle lusinghe anglo-francesi che fino all'ultimo tentarono di indurre l'Italia a un ruolo più interlocutorio.

Italiani e tedeschi, che pure non si amano, restarono intrappolati in questo gioco mortale. I primi divisi tra scetticismo e vocazioni imperiali che seducono anche la borghesia, i secondi prigionieri del mito di Sigfrido e della purezza della razza per riscattare l'umiliazione tedesca. E sarà nell'antisemitismo e nelle Leggi Razziali fasciste, che individueranno nell'ebreo il nemico comune, che il collante ideologico diventerà sempre più violenza agita, paura, odio. E il Macho Mediocre diventa il Mostro.

La paura che diventa odio è il tema di un grande articolo di Scurati sul Corriere della Sera, uscito lo stesso giorno della prima della Scala, con il discusso Boris Godunov di Aleksandr Puškin (libretto di Modest Petrovič Musorgskij), reo di evocare un altro mostro, quel Putin presente senza alcuna riserva tra i grandi della Terra, fornitore a pieno titolo delle nostre energie e mecenate di uno stuolo di acquirenti di ville e panfili miliardari tra Sanremo e la Versilia: i pluriconcupiti oligarchi.

Tralascio di commentare la cancel culture applicata alla Russia. Sottolineo piuttosto che la pratica fu tipica del fascismo nella fase in cui poteva ancora passare per innocuo agli occhi di molti. Il mitico Galileo GaliVoi, Centoventicinque invece di Saint-Vincent, per ridere; Vanda Osiri, finepasto (dessert), diporto (sport), color Barolo (?) il bordeaux, sul serio: la letteratura in materia di linguaggio e fascismo è attualissima, anche se troppo poco nota, e comporta numerosi dizionari con autori del calibro di D'Annunzio, Marinetti, l'Accademia dei Lincei.

È proprio davanti a pratiche che sembrano folklore, a simboli che ritornano apparentemente depotenziati in contesti innocui che si abbassa la guardia. È quello che accade oggi, dove i riti della destra italiana dei nuovi poteri torna definitivamente (il processo è in corso da un pezzo) alla Mediocrità, alle Millanterie che a poco a poco ci hanno trascinato alla guerra. E in guerra siamo oggi che anche Siria e Kosovo sono ai ferri corti per una questione di targhe, in realtà per un micronazionalismo che non ha mai decampato. La totale incapacità dell'Europa a spendere l'unico vero capitale accumulato – una pace vecchia di settant'anni – è frutto del pressapochismo e della disinformazione sovrane. Non conoscere – solo conoscere, neanche capire e tantomeno giustificare – la successione delle motivazioni (neanche ragioni, siamo cauti) della Russia vuol dire consegnare altri popoli, ucraini compresi, alla catastrofe. P (come Putin) sarà anche Pazzo, ma la nostra incapacità di conoscere i fatti, di indagare i nessi e di elaborare tattiche e strategie conseguenti con autorevolezza è più pericolosa di qualunque follia. Rievocare l'odio addirittura retrospettivo (la terrificante carestia Ucraina sotto Stalin) senza valutare l'impatto dell'indipendenza concessa all'Ucraina da Lenin a ridosso dell'Ottobre bolscevico (con conseguente conflitto tra collettivi di operai e agricoltori, di nazionalisti e internazionalisti, di ortodossi e antireligiosi) è reato di lesa intelligenza storica. Quanto ne sappiamo? Eppure basta un piccolo passo in questa direzione per sembrare in odor di putinismo. E questo non è liberale né etico, non c'è morale nello sguaiato chiacchiericcio che tracima in questi giorni. Fino a che il pragmatismo dei più forti chiuderà la partita, magari con una pace “alla afgana”.


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