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Crepacuore. Storia di una dipendenza affettiva, di Selvaggia Lucarelli


Selvaggia Lucarelli è una donna coraggiosa. Intelligente e coraggiosa. Forte, intelligente e coraggiosa. Perché ci vuole coraggio e forza per affrontare la scrittura di un libro così ferocemente autobiografico e parecchia intelligenza per scriverlo in modo secco e vero, senza fronzoli, senza vittimismi e, soprattutto, senza il tentativo di accampare scuse. (E il suo gattino nero trovatello, guarda caso, si chiama proprio Coraggio).

Con Crepacuore, ci regala pagine importanti perché solcate da una sincerità disarmante e soprattutto da una sensazione, forte e necessaria in questi tempi di voyeurismo continuo, alimentato dai social: che il fatto di essere una persona “pubblica”, di frequentare i salotti televisivi, di fare da giurata a programmi da prima serata Rai, non ti rende un essere al di sopra degli errori, del dolore fisico e mentale, delle difficoltà quotidiane. Banale e scontato? Può darsi, ma in una società come la nostra, pronta a giudicare chiunque, pronta a spiare nelle case dei “vip” più per trovare la magagna che per sana curiosità, che aspetta il passo falso per potersi avventare come un avvoltoio su tutto ciò che sembra essere destinato a morte certa, ecco allora che Crepacuore è una sorta di j'accuse a se stessa disarmante, senza sconti, senza dita dietro cui nascondersi.

Fu così che smisi di giudicare lui, di analizzare la mia relazione, di distribuire meriti e colpe e guardai ME, solo me dal di fuori, finalmente, spostai lo sguardo. Vidi chiaramente una donna sfibrata, stanca, e provai un'infinita pena per me stessa.

La parabola della storia ripercorre i passi della dipendenza affettiva dall'uomo sbagliato come se fosse una dipendenza da sostanze stupefacenti, e mano a mano che il racconto procede e che le situazioni diventano sempre più “tossiche” - e a tratti pericolose - ci si rende conto che è proprio così: che una dipendenza è una dipendenza e come tale provoca assuefazione, e bisogno costante di utilizzare la sostanza (l'uomo in questione e tutto ciò che il suo mondo porta con sé), non importa quanto male noi siamo consci che faccia. A noi e a chi ci sta intorno e che a sua volta dipende da noi, come un figlio. È Leon, il figlio nato dal primo matrimonio, che ne subisce gli effetti di rimbalzo e che forse sarà anche la chiave per aprire finalmente la porta della gabbia e uscire nel mondo da donna libera. 

Si può confessare a qualcuno di aver avuto più paura di perdere un uomo che di rischiare che il proprio bambino cadesse dalle scale?

Penso che sia un libro importante, soprattutto la testimonianza che i grandi dolori e le grandi difficoltà non sono appannaggio delle donne “normali” o con disagi o con situazioni di degrado alle spalle, ma sono un pericolo per chiunque, non importa quanto patinata sembri la tua vita. Anzi... a volte il bisogno di dover sempre essere brillante quando dentro stai morendo, rende tutto ancora più penoso. Le parole della Lucarelli sono importanti, forti e lavorano, come ogni buon libro, su più livelli. Per chi ha subito o sta subendo qualcosa di analogo può subentrare un'empatia salvifica; ma anche per chi, come me,  non ha mai provato nulla di simile nella sua vita, è uno spaccato di realtà molto difficile, ma profondamente istruttivo. Anche se forse alla base del problema c'è proprio l'incapacità di accorgersi di cosa stia succedendo, fino a che non è troppo tardi. Ma il grande “insegnamento” di Crepacuore è che, per quanto si sia distrutti, i pezzi si possono sempre rimettere insieme; e per farlo non c'è colla migliore della ritrovata stima di se stessi. Poi il resto viene, anche l'Amore. A volte, basta «volgere lo sguardo»... Una bellissima affermazione mi ha colpita per la sua limpidezza:

Ci siamo arricchiti, non completati. Lorenzo è la persona che vorrei essere se non fosse il mio fidanzato.

Abbandonando - anche se per fortuna non del tutto - la sua vena ironica e pungente, Selvaggia Lucarelli scrive un libro sincero fino al midollo, crudissimo; dev'essere dura rileggersi con gli occhi dell'estraneo e guardarsi attraverso la lente delle proprie stesse parole. Il solo fatto che abbia scritto un libro così è la prova che l'intelligenza fa un passo avanti a noi stessi e ci prende per mano... e ci salva. 

Note a margine: C'è una parte del libro che mi ha particolarmente colpita ed è quella in cui l'autrice descrive la casa di lui - minimal, bianca e nera - e il divieto a farle portare in casa oggetti colorati. Mi ha colpita un po' per la cosa in sé: il divieto non dovrebbe rientrare in nessun rapporto, di nessun genere. Ma anche perché, seguendola sui social (sì, la seguo, anche perché sono una fan di Ballando con le stelle) ho notato l'incredibile e fantastica varietà di oggetti che ha a casa e ho capito da dove viene questa “fame” di colore, di forme diverse, di ricchezza visiva. E anche da dove deriva l'adozione dei gatti, uno rosso e uno nero, e di un cane... la riappropriazione della propria personalità passa dall'allestimento della propria quotidianità. E questo è uno dei “passi” fondamentali della rinascita. 
Ho volutamente tralasciato di parlare della parte che riguarda Leon, il figlio, perché credo che siano pagine che vanno lette, accolte e non commentate. Anche per una forma di rispetto. Leggere, “ascoltare” e rubare: sono cose che si possono fare senza commentarle. Scelgo di fare così. 

Crepacuore. Storia di una dipendenza affettiva, di Selvaggia Lucarelli, Rizzoli, 2021, 228 pagine.

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